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lunedì 18 agosto 2014
La difficile tregua di Gaza
La maggiore urgenza attuale per la Striscia di Gaza è quella di trasformare la tregua rispettata da ambo le parti dal giorno 11 Agosto in una situazione definitiva. Il problema più pressante è quello di assicurare le adeguate cure mediche agli oltre 10.000 feriti palestinesi, colpiti dall’azione dei militari israeliani; infatti, dopo oltre le 2.000 vittime dirette provocate dal fuoco di Tel Aviv, la lista dei caduti rischia di allungarsi per gli effetti della mancanza di cure mediche necessarie per chi ha subito menomazioni e ferite particolarmente gravi. A peggiorare la situazione vi sono le condizioni igieniche precarie dovute al danneggiamento delle infrastrutture di base, come le fognature e gli acquedotti. Attraverso la mediazione egiziana, le due delegazioni, che non hanno mai incontri diretti, cercano una soluzione che appare molto difficoltosa a causa delle distanze tra le due parti. Per Israele è fondamentale che la Striscia di Gaza subisca un processo di smilitarizzazione, che garantisca allo stato ebraico di non essere più attaccato dai missili di Hamas, che, nonostante le pesanti perdite, potrebbe disporre di un arsenale ancora considerevole. D’altro canto le richieste palestinesi appaiono altrettanto giustificate, giacché mirano a rompere l’isolamento di Gaza, sia dal punto di vista della circolazione delle merci, che delle persone, che dalla negazione dei diritti a sfruttare lo spazio acqueo antistante la striscia per ragioni economiche. Gli israeliani vorrebbero continuare a mantenere per Gaza lo status di prigione cielo aperto, ragione che ha provocato il successo di Hamas. Senza una apertura verso migliori condizioni di vita per gli abitanti della striscia appare inevitabile che la popolazione di Gaza vada incontro a soggetti estremisti emergenti ancora più pericolosi di Hamas. Questa contraddizione rappresenta un punto apparentemente invalicabile per il governo israeliano, che pretenderebbe di sconfiggere l’avversione verso Israele soltanto con soluzioni coercitive e militari. Purtroppo nello stato israeliano e soprattutto nel governo, in questa fase storica, sembra mancare del tutto la ragionevolezza e la tendenza a scegliere le soluzioni più efficaci per raggiungere la pace. Forte della propria supremazia militare il governo di Israele appare intenzionato a porre condizioni sempre più rigide per i palestinesi di Gaza, che, oltre ad essere vittime di una crisi economica decisamente forte, dovuta anche all’isolamento imposto da Tel Aviv, ora si troveranno alle prese con la difficoltà di una ricostruzione che appare difficoltosa. Questi fattori possono spingere alla disperazione le componenti sociali di Gaza più esposte al messaggio integralista, ponendo Israele di fronte alla tragica eventualità di prepararsi ad una stagione di attentati, che potrebbe gettare il paese nel terrore. Per il momento, anche politicamente Israele appare più forte perché più coeso, la società israeliana, nella sua maggioranza ha subito gli influssi del governo di destra, che ha saputo stimolare le paure peggiori del popolo di Israele. Al contrario i palestinesi appaiono profondamente divisi in diverse fazioni che non riescono a trovare una comune unità di intenti e dove i movimenti estremisti più radicali, ben oltre le posizioni di Hamas, stanno raccogliendo pericolosi consensi; invece ci sarebbe bisogno di una forte leadership moderata, che Abu Mazen, l’unico esponente di rilievo con queste caratteristiche, in questo momento non può assicurare. Tuttavia anche senza raggiungere una tregua ufficiale, non viene esclusa la possibilità che il cessate il fuoco resista, perché, da un lato, Israele è soggetto alla pressione internazionale ed ha comunque raggiunto lo scopo di assestare un ridimensionamento consistente ad Hamas, d’altro canto lo stesso Hamas è oggetto della pressione interna dei palestinesi, che sono sempre più contrari al lancio dei missili verso Israele, che provoca la risposta dei militari di Tel Aviv. Questa situazione di stasi potrebbe essere sfruttata da una diplomazia internazionale neutrale per cercare una pacificazione anche provvisoria, ma basata su maggiori garanzie. Il problema è che il soggetto principale deputato a questo compito, le Nazioni Unite, ha rivelato ancora una volta la propria inadeguatezza, accompagnata in questo stato da una Unione Europea ancora incapace di dotarsi di una struttura per le relazioni internazionali dopo ben tre mesi dai risultati delle elezioni europee. Lasciare la conduzione dei negoziati al pur volenteroso Egitto non è sufficiente e rappresenta l’ennesimo fallimento della politica estera dell’ONU e dell’Europa, che per la vicinanza con il teatro di guerra, dovrebbe sentirsi automaticamente coinvolta in trattative urgenti capaci di raggiungere risultati apprezzabili.
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