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martedì 19 agosto 2014
La necessità di un nuovo soggetto sovranazionale contro le alterazioni degli equilibri globali
Sul piano militare l’appoggio dell’aviazione americana ai combattenti curdi ed alle forze regolari irakene, si è rivelato, come da copione, decisivo per fare arretrare l’esercito dello stato islamico dell’Iraq e del Levante. I buoni risultati, che hanno permesso la difesa di infrastrutture strategiche fondamentali per il paese, hanno sottolineato come la strategia voluta da Obama non possa essere breve ma deve intendersi a lungo termine, per la sconfitta totale delle milizie sunnite. Su questo punto sta aumentando l’intesa tra i paesi occidentali per la fornitura di armi ai combattenti curdi, che si stanno rivelando essenziali per il contenimento degli integralisti. Per la Casa Bianca, che ha sempre smentito l’impiego sul terreno di effettivi statunitensi, i curdi sono essenziali negli scontri di terra e la sinergia con l’aviazione a stelle e strisce, supportata da una fiducia reciproca che risale ai tempi della sconfitta di Saddam Hussein, è diventata l’arma decisiva contro le bandiere nere dei sunniti. La vittoria militare, anche se ancora lontana definitivamente, sembra ora essere alla portata, anche se, al momento, pare impossibile debellare del tutto le milizie integraliste, perché godono dell’appoggio della popolazione sunnita, esclusa dall’amministrazione del potere nel paese irakeno, dalla sciagurata politica dell’ex premier Al Maliki, che aveva conferito i posti di comando in modo esclusivo agli sciiti, in reazione al periodo di Saddam, dove erano i sunniti ad avere la gestione totale del paese. Questo particolare deve diventare fondamentale nella gestione della crisi, fin da subito, per favorire un politica di dialogo tesa a recuperare quella parte di società sunnita più moderata che possa essere coinvolta nel dialogo tra le diverse componenti del paese, sia che il futuro riguardi un Iraq ancora unito, sia che contempli una divisione tendente a creare tre distinte entità statali autonome, anche per favorirne la pacifica convivenza. Uno dei problemi maggiormente evidenziati in questa crisi irakena è stata l’avanzata dell’intolleranza religiosa, che si è manifestata con persecuzioni violente, conversioni forzate e fuga di massa delle popolazioni perseguitate. Su questo argomento non poteva mancare il commento della massima autorità religiosa della chiesa cattolica, Papa Francesco, che ha richiesto un intervento delle Nazioni Unite per fermare questi fenomeni senza i bombardamenti. Purtroppo le aspettative del pontefice, in linea con le prerogative della sua carica, nell’immediato devono essere disattese, anche in ragione della grande disponibilità finanziaria di cui lo stato islamico dell’Iraq e del Levante è riuscito ad avvalersi, che gli concede una grande capacità di azione militare, grazie ai mezzi di cui dispone. Contro un soggetto del genere non si possono imporre sanzioni o sedersi al tavolo delle trattative e la potenzialità di destabilizzazione dello stesso ordine mondiale insita in questa organizzazione è tale che non permette propositi pacifisti, che escludano cioè l’uso delle armi. Resta però importante l’appello di una autorità mondiale del calibro del Papa, affinché le Nazioni Unite si adoperino per una soluzione del problema; in verità l’ONU dovrebbe anche esercitare una azione preventiva, ma nessuna delle due opzioni pare essere stata assolta in questa come in altre crisi. Senza un intervento degli USA, a cui si deve riconoscere almeno la volontà di riparare in qualche modo al modo miope con cui è stata gestita l’intera operazione irakena, le conseguenze, sia per la regione, che per gli interi equilibri mondiali correrebbero pericoli ancora più seri. Questo particolare evidenzia in modo ancora più netto come l’ONU necessiti di una profonda riorganizzazione, che sappia fronteggiare almeno i grandi pericoli per il pianeta. Il terrorismo internazionale ha avuto una tale evoluzione che, come pericolo, si articola su più piani: dalla piccola cellula, talvolta costituita da una singola unità, fino a veri e propri eserciti capaci di conquistare interi territori, capaci di riempire vuoti di potere creati da congiunture politiche ed economiche. Occorre ricordare come lo stato islamico dell’Iraq e del Levante abbia saputo sfruttare la dissoluzione della Siria e l’incertezza della sovranità dello stato irakeno sui propri territori. Questa lezione deve servire per prevenire altre situazioni analoghe, che possono assumere caratteristiche similari: si pensi all’Afghanistan, al Pakistan ed a diversi stati africani. Le condizioni sono sempre contraddistinte da entità statali che non hanno il pieno controllo dei propri territori, dove si rifugiano gruppi contrari all’ordine costituito; spesso questi movimenti sono in grado di gestire le risorse naturali ricavandone proventi da reinvestire in armi o sono finanziati da paesi stranieri che pensano di usarli per destabilizzare avversari. Ancora una volta i gruppi estremisti che vogliono ricreare il califfato rappresentano un esempio calzante, in quanto sono stati finanziati da paesi sunniti per togliere influenza all’Iran, ma sono poi sfuggiti al controllo degli stessi finanziatori, che ora devono impegnarsi a salvaguardare le proprie frontiere. L’evoluzione a cui si è assistito quindi necessita di correttivi pensati su scala globale, sia come scenari, che come approccio delle relazioni tra i soggetti statali interessati a non vedere sovvertito l’ordine in cui operano. Si tratta di una sfida ben più difficile che affrontare militarmente gli estremisti islamici, perché coinvolge attori con interessi opposti e può toccare equilibri ed alleanze, che nel breve e medio possono trarre vantaggio da situazioni contingenti anche dubbie, ma che nel lungo periodo possono assumere direzioni del tutto opposte. In questo senso la creazione di una organizzazione sovranazionale che abbia come obiettivo la salvaguardia della pace, attraverso mezzi e strumenti sufficientemente adatti, sia politici, che militari, in grado, cioè, di esercitare un uso coercitivo della forza, appare una esigenza non più rimandabile, specialmente in un contesto multipolare, che presenta sempre più variabili di difficile gestione.
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