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martedì 12 agosto 2014
Le critiche della Clinton alla politica estera di Obama
Le critiche di Hillary Clinton alla politica estera di Obama, in parte giustificate, sono il più chiaro segno dell’apertura della campagna elettorale per la corsa alle presidenziali prossime venture. L’impostazione data al giudizio della dottrina Obama è quasi del tutto negativa ed è un chiaro segnale all’elettorato repubblicano, che appare spaccato e quindi incapace di esprimere un proprio candidato sufficientemente forte per la competizione presidenziale. L’eccessiva buona disposizione verso il governo israeliano, secondo la Clinton costretto a produrre una risposta oltremodo dura ai razzi di Hamas è esclusivamente funzionale all’elettorato ebreo ed alla sua forza economica, ma pone la Clinton come troppo poco obiettiva di fronte all’eccessiva risposta di Tel Aviv, che ha provocato tante vittime civili. Proprio di fronte a questo fattore, l’ex Segretario di stato, ha addebitato totalmente la colpa delle vittime civili alla strategia di Hamas di nascondere le proprie infrastrutture militari tra le abitazioni civili. Rispondere a questa obiezione è relativamente facile, se si considerano le condizioni nelle quali Israele ha costretto a vivere 1.800.000 persone, senza sbocchi verso terra o verso il mare. La Clinton appare troppo indulgente con il paese israeliano, non nominando mai gli ostacoli artificiosi frapposti dal governo di Tel Aviv al cammino della pace, rappresentato dal progetto dei due stati sullo stesso territorio. Il premier israeliano, più volte adirato con Obama e Kerry, nel caso di affermazione di quella che potrebbe essere la prima presidente donna degli Stati Uniti, deve sentirsi sicuro di avere di nuovo un alleato acritico, capace soltanto di garantire il proprio appoggio, senza interferenze nei progetti espansionistici delle colonie. Per la Clinton l’approvazione di Israele appare centrale nella propria strategia di politica estera, soprattutto nell’area mediorientale; una strategia che appare da subito muscolare ed interventista, in antitesi a quella prudente, ma effettivamente con scarsi risultati di Obama. La pressione dei musulmani radicali, secondo la Clinton, deriva da un atteggiamento troppo morbido di Obama, derivante dal proposito di non porre più gli Stati Uniti come potenza dominate e soprattutto contraddistinta da una politica basata sulle ingerenze nella politica interna degli stati. Questa stessa critica è stata mossa anche dagli ambienti repubblicani, che hanno visto come segno di debolezza e perdita di importanza e quindi di influenza l’arretramento americano, richiesto, invece, dalla maggioranza della popolazione. Se vi è un appunto da fare ad Obama è proprio il volere mantenere a tutti i costi i propri impegni elettorali relativi al disimpegno delle truppe USA dai teatri di guerra del mondo, senza adattare questa strategia in maniera più elastica allo svolgimento dei fatti ed agli sviluppi internazionali che stanno segnando questo periodo storico. Quello che è accaduto, infatti, ha dimostrato una certa rigidità di Obama nel seguire la sua politica, senza sapersi adattare di volta in volta alle risposte che era necessario che gli Usa fornissero in qualità di maggiore potenza mondiale. Un errore fondamentale è stato privilegiare lo scenario del sud est asiatico senza prima avere risolto la questione mediorientale ed averla anzi aggravata con un ritiro dall’Iran troppo avventato e basato essenzialmente sui programmi elettorali. Malgrado queste pecche Obama ha ottenuto dei risultati apprezzabili con l’Iran, ma ha mancato politicamente la strategia con i paesi del Golfo Persico, responsabili, seppure involontari, della crescita dello stato islamico dell’Iraq e del Levante. Un atteggiamento maggiormente coinvolto avrebbe provocato certamente delle critiche interne, ma avrebbe creato non poche difficoltà al grado di forza e di autonomia delle milizie radicali sunnite. Tuttavia le critiche di Hillary Clinton non paiono generose, Obama ha cercato una impostazione differente della politica estera statunitense uscendo dallo schema che molti avversari definivano imperialista; ma n on è tanto sul mancato uso delle armi e della forza che la dottrina Obama sta risultando perdente, quanto sul mancato coraggio politico di affrontare scelte ben più nette, dovuto, in parte, al fatto di essere ostaggio proprio di settori culturali e politici come quello da cui proviene la Clinton. Se la moglie di Bill diventerà presidente dovrà per forza affrontare queste questioni da ben altre angolazioni, che vanno oltre la mera critica per guadagnare i voti dai repubblicani.
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