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giovedì 14 agosto 2014

L’Irak diviso, soluzione per il problema mediorientale

Nella previsione del futuro dell’Iraq incombe il destino di una separazione in tre stati, che sta a significare il fallimento della prospettiva post coloniale, ma soprattutto dell’intendimento statunitense del ruolo di Bagdad nello scacchiere regionale. Per Washington l’unità dello stato irakeno stava a significare un controllo su di una vasta zona che doveva fare da cuscinetto tra la Siria e l’Iran. Se con Teheran i rapporti della Casa Bianca sono sulla via del miglioramento, quelli con Damasco, seppur pessimi, potrebbero ritrovare un proprio scopo per arginare l’avanzata delle milizie sunnite radicali. Gli USA, per stare ai danni minori, soprattutto in prospettiva, dovrebbero favorire la divisione in tre entità distinte dell’Irak, risolvendo parzialmente i loro problemi di geopolitica nell’area, ma peggiorando i rapporti con alleati importanti. Le tre entità che dovrebbero nascere sono quella relativa all’area sunnita, all’area sciita ed al Kurdistan finalmente indipendente. L’area sunnita indipendente è fondamentale per la pacificazione di tutta la regione e per il contenimento degli estremisti: uno stato in mano ai sunniti moderati resta attualmente l’unica chiave per sconfiggere il radicalismo, che potrebbe sovvertire l’ordine mondiale, costituendo una base tattica di partenza per una nuova stagione del terrore in tutto il mondo occidentale. Per arrivare a questo risultato occorre un impegno sul campo gravoso, ma altrettanto impegnativo dovrà essere quello sul piano politico per mediare tra le varie tendenze, tra le quali spiccano i seguaci del partito Bath, quello di Saddam Hussein. La dissennata politica del governo centrale di Bagdad, che ha relegato i sunniti lontano dalle posizioni di potere dello stato non può che essere ricompensata con una autonomia totale, ma nel quadro di una alleanza ferrea con Washington. L’area sciita indipendente è necessaria per altrettante ragioni di opportunità: il dialogo con gli avversari religiosi non è più possibile all’interno di uno stesso stato, ma può riprendere su rispettive posizioni statali autonome riconosciute a vicenda. Ma questa ipotesi può essere rischiosa per i rapporti internazionali tra USA ed alcuni suoi alleati, come i paesi del Golfo, che potrebbero vedere questa soluzione come una concessione all’Iran, che andrebbe inevitabilmente ad esercitare la propria influenza su di un paese a maggioranza sciita. Questo scenario farebbe risultare alterati gli attuali equilibri nella regione ed anche in un contesto più ampio, lungamente contestato dai sauditi, che vede il progressivo avvicinamento tra Teheran e Washington. Per la Casa Bianca gestire queste problematiche in un contesto già deteriorato potrebbe risultare alquanto complicato. La terza entità è quella dei Curdi, ormai molto vicini a realizzare in maniera pratica l’obiettivo di creare uno proprio stato autonomo ed indipendente. Questo fattore è stato finora avversato dagli Stati Uniti, nonostante che i curdi siano i loro migliori alleati nella regione e siano stati fondamentali per sconfiggere Saddam, perché hanno visto nel popolo curdo proprio un fattore di stabilità interno alla frastagliata composizione etnica del paese; ma questo traguardo appare ormai inevitabile per le ambizioni di un popolo che da tanto tempo è alla ricerca di una autonomia ben più completa di quella attuale confinata all’interno di un assetto federale dove la capitale è sempre vista come una dominazione straniera. Alla fine Washington dovrà cedere alle ambizioni dei curdi e riconoscere le loro legittime aspettative di indipendenza, tra l’altro questo non potrà che rafforzare i rispettivi rapporti. Tuttavia per gli americani le controindicazioni sono rappresentate dalle rimostranze turche ed anche iraniane, che temono un allargamento delle rivendicazioni curde anche verso i territori di quella etnia presenti nei loro paesi e che sono sempre stati fattori destabilizzanti per gli equilibri interni. Come si vede un quadro complessivo di non facile soluzione, ma che richiede tempi strettissimi di intervento, soprattutto per la necessità di sconfiggere l’esercito dello stato islamico e del Levante. Se le armi, in prima battuta, sono essenziali, ancora di più sarà la capacità politica di districarsi in un tale scenario così altamente diversificato, dove le esigenze dei vari attori in gioco sono spesso in contrasto tra loro su molteplici livelli ed in ultima istanza con gli stessi interessi americani ed occidentali. Occorre ricordare che a poca distanza continua la questione palestinese, che con la sua soluzione sempre più lontana contribuisce non poco alla confusione generale dell’instabilità complessiva di un fronte che continua ad espandersi.

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