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venerdì 12 settembre 2014
Gli USA formano un'alleanza di dieci paesi arabi contro il califfato
Gli USA riescono a costruire una alleanza con dieci paesi arabi per stroncare il califfato. La missione di John Kerry parte dunque con i migliori auspici, ma deve confrontarsi con gli avvisi di Mosca, che continua ad affiancare Assad e la posizione della Turchia, che darà la propria disponibilità solo per aiuti umanitari. Il centro dell’alleanza sarà l’Arabia Saudita, che, grazie al suo peso politico, militare, economico e, soprattutto religioso, dovrà rappresentare il fulcro della lotta allo Stato islamico da parte delle nazioni arabe sunnite. Proprio questo aspetto viene ritenuto fondamentale da Washington, infatti gli USA hanno più volte sottolineato come la guerra al califfato non deve essere intesa come un conflitto religioso, ma come lotta al terrorismo; in quest’ottica la discesa in campo di quello che può essere considerato il paese guida dei sunniti, per la sua influenza religiosa e perché è sede dei luoghi santi dell’Islam, deve rappresentare il maggiore punto di forza politica dell’alleanza. La strategia militare dovrà prevedere attacchi dai due lati del territorio presidiato dallo Stato islamico: la Siria e l’Iraq. Se per quest’ultimo non vi sono problemi per le operazioni aeree americane, dal lato siriano, Damasco ha già affermato che gli USA dovranno accordarsi con il governo di Assad per l’ingresso nei cieli siriani. La Siria in questo atteggiamento è supportata dalla Russia, che continua a sostenere il regime di Damasco e che non spreca ogni occasione possibile per alzare il confronto con gli Stati Uniti, a seguito della questione ucraina. Per la Casa Bianca il dilemma più grosso è rappresentato dalla necessità di concordare con Assad le azioni militari, se questo dovesse avvenire sarebbe un riconoscimento implicito all’autorità del regime di Damasco. Più probabile che gli USA intendano usare i corridoi aerei presidiati dai ribelli, sia quelli da aiutare, che quelli da combattere, per non dovere incorrere in una caduta politica, e neppure in eventuali rappresaglie militari da parte di Assad. Nel contempo è probabile che gli USA, in accordo con gli alleati arabi, intensifichino gli aiuti ai ribelli democratici, che dovrebbero costituire la forza sul terreno da contrapporre, in prima battuta agli uomini del califfato ed in un secondo tempo a quelli di Assad. Questo perché l’intenzione americana, più volte ribadita, di non schierare uomini sul campo non dovrà subire variazioni. Questo assunto, che resta un punto fermo nella politica di Obama in osservanza dell’impegno preso con gli elettori fin dal suo primo mandato, dovrà essere rispettato anche dal lato irakeno. Su questo fronte si conta sui combattenti curdi, mentre per l’esercito regolare irakeno sono previsti anche istruttori americani. Secondo quanto affermato dal Segretario di stato alle forze in campo potranno essere aggiunte truppe di provenienza araba, probabilmente anche con il benestare della Lega Araba, che con il supporto dell’aviazione americana dovranno essere sufficienti per sconfiggere le truppe dello stato islamico. Gli unici soldati statunitensi sul territorio saranno quelli incaricati di proteggere le installazioni americane, come sedi diplomatiche o basi logistiche e militari funzionali all’attività degli alleati. Naturalmente, dal punto di vista militare, gli USA rafforzeranno la loro presenza nelle basi del Golfo Persico, che serviranno anche come partenza dei droni e dei velivoli diretti contro lo stato islamico. Nell’alleanza non entra ufficialmente l’Iran, ma la collaborazione con i combattenti curdi ed in modo ufficiale con gli stessi americani è ormai un dato di fatto. Per quanto riguarda la Turchia, la collaborazione limitata alle operazioni di carattere umanitario vuole significare una netta presa di distanza da quelle potenze regionali come l’Egitto e l’Arabia Saudita, che si sono dimostrate profondamente avverse al movimento dei Fratelli Musulmani, più volte appoggiati, anche pubblicamente dal paese turco.
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