Nonostante l’ammissione alla partecipazione dei raid contro il califfato, gli stati arabi affrontano con differente stato d’animo la guerra in corso. Arabia Saudita, Giordania, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti hanno contribuito attivamente, con gli Stati Uniti, al bombardamento delle posizioni delle forze dello stato islamico sul territorio siriano, che rappresenta la zona più saldamente in mano agli estremisti e che è soggetta a gravi crisi umanitarie. Le dichiarazioni dell’Arabia Saudita giustificano la propria adesione all’alleanza contro il califfato in ragione della difesa del popolo siriano e per ripristinare l’unità del paese, oltre, naturalmente, alla sconfitta finale del movimento terroristico. Dietro queste parole si identifica un disegno preciso per il futuro della Siria, che non dovrà comprendere la partecipazione di Assad; su questo punto gli USA sono pienamente d’accordo, più difficile che Teheran e Mosca la pensino allo stesso modo. Per Washington significa affrontare un percorso meno facile nello sviluppo delle relazioni con l’Iran, che soltanto un accordo sul nucleare potrà appianare. Ma la partecipazione alla coalizione militare dell’Arabia Saudita, ritenuta dalla Casa Bianca essenziale per non permettere di inquadrare questa guerra come una guerra di religione, favorisce la monarchia del Golfo affinché vi sia un riequilibrio dei rapporti diplomatici con gli USA, recentemente sbilanciati verso il paese sciita. Il quadro attuale sul futuro della Siria vede gli USA preferire l’opposizione laica democratica, l’Arabia Saudita un governo senza Assad, perché troppo vicini agli iraniani, magari di matrice islamica moderata, mentre l’Iran sostiene il ripristino del governo di Damasco. Degli altri paesi che partecipano alla coalizione, il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti sono allineati alle posizioni saudite, mentre la Giordania è preoccupata di evitare il coinvolgimento del proprio territorio nell’espansione del califfato, ma per ottenere una maggiore stabilità nel medio oriente preferirebbe una Siria libera dalla dittatura attuale. In queste tensioni politiche, spicca l’astensione del Qatar, che vede nella partecipazione all’alleanza da parte dei propri vicini, un ulteriore fattore di isolamento per la propria politica estera, che ha portato il paese a grossi contrasti con le altre monarchie del Golfo. Non è un mistero che il Qatar abbia sostenuto la fratellanza musulmana ed abbia appoggiato i movimenti estremisti combattenti in Siria, da cui, verosimilmente, è nato il califfato. In questo momento il Qatar si trova allineato più con la Turchia, che con il suo alleato più naturale: l’Arabia Saudita. Questo fatto costituisce una novità nell'ambito dello scenario diplomatico del medio oriente ed ha generato una spaccatura non da poco tra i paesi del Golfo, che non è certo utile per gli Stati Uniti. In realtà l’atteggiamento del Qatar starebbe diventando più conciliante, almeno nei confronti degli USA, mediante l’appoggio logistico di basi per gli aerei statunitensi; restano però le differenze di fondo con i sauditi, relativamente ad una visione che vorrebbe prediligere una maggiore commistione tra sistema politico e religione. Il quadro della situazione resta pertanto molto fluido ed alla base di una stabilizzazione in ottica futura non può non passare attraverso un accordo tra Arabia Saudita ed Iran, sia tra le due parti, che in un rapporto molto bilanciato con Washington, che deve mantenere una posizione il più equidistante possibile tra i due paesi, senza compromettere i propri interessi, che, verso l’Arabia Saudita sono quelli di ritornare a relazioni di primo piano, mentre per l’Iran, sono quelli di concludere il negoziato sul nucleare e intraprendere in maniera definitiva relazioni cordiali con Teheran. Se l’Iran, formalmente non partecipa alla alleanza, che deve essere essenzialmente espressione di paesi arabi sunniti, in pratica con le sue unità sta già combattendo sul terreno al fianco dei curdi irakeni; questo fatto è risaputo da tutti, ma proprio per la necessità di questi combattenti sul terreno, alcun paese sunnita, di quelli della coalizione, si astiene del commentarlo in ossequio alla regola del chi tace acconsente. Siamo dunque ad un possibile punto di svolta delle relazioni mediorientali, che, comunque, è soltanto un punto di partenza: se il califfato verrà sconfitto, almeno in campo diplomatico, la questione del futuro della Siria costituirà il vero banco di prova per normalizzare le relazioni e gli assetti della regione.
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