La guerra al califfato sta creando una serie di paradossi diplomatici, che per conseguire la vittoria finale potrebbero essere sospesi, ma che si ripresenteranno puntualmente come problemi vincolanti per la stabilità regionale, qualora lo stato islamico sarà sconfitto. Questi paradossi stanno obbligando nazioni attraversate da rivalità piuttosto profonde a collaborazioni forzate per la necessità di coalizzarsi contro gli effetti e gli sviluppi che una instaurazione definitiva dal califfato potrebbe generare. L’alleanza che si è costituita contro gli integralisti funziona già in parte in maniera ufficiale, sia in maniera ufficiosa e vede combattere fianco a fianco nemici che erano divisi storicamente. La collaborazione tra Iran ed USA costituisce l’esempio più eclatante, rappresentanti dei due paesi collaborano da tempo senza rendere ufficiale questa alleanza, per non compromettere i rispettivi rapporti internazionali e non alterare gli equilibri interni; tuttavia lo stato di necessità ha obbligato ad incontri ufficiali, che prima non erano neppure pensabile, come nel caso dell’incontro bilaterale tra i ministri degli esteri di Iran ed Arabia Saudita. L’apporto fondamentale dei combattenti curdi, che sperano così finalmente di ottenere una propria patria, è stato affiancato sul campo di battaglia da truppe iraniane e dall’esercito irakeno, forze armate, che nel passato, hanno sempre operato repressioni anche feroci nei confronti dei curdi per reprimere le ambizioni di indipendenza. La Turchia, che continua ad osteggiare la nascita di uno stato curdo, anche lontano dai propri confini, sta operando in condizioni difficili una grande opera umanitaria proprio in favore dei curdi siriani, che scappano dall’avanzata dei combattenti dello stato islamico. Israele, inviso, formalmente, a tutti gli stati arabi sunniti ed in particolare modo alla Turchia ed all’Iran, sta collaborando con gli USA, ma indirettamente con i componenti islamici della coalizione, mediante il controllo del territorio occupato dalle forze dello stato islamico, grazie alla sua rete di satelliti, inoltre si ritiene che possa intervenire direttamente nel conflitto, nel caso il califfato intenda attaccare la Giordania, suo principale alleato e territorio particolarmente favorevole per mettere in pericolo la sicurezza dello stato israeliano. Questo pericolo comune non appiana però le distanze tra Tel Aviv e Teheran sulla questione nucleare, l’argomento suscita ancora particolare allarme in Israele, sia al suo interno, che con l’alleato statunitense, che, al contrario, ambisce a raggiungere un accordo con l’Iran e di conseguenza intraprendere con lo stato iraniano relazioni più distese. Molto importante è anche la questione siriana ed il destino che riguarda Assad. In questo momento l’argomento centrale è l’entrata nel conflitto dell’esercito turco, forte di un milione di effettivi, con un armamento all’avanguardia: Ankara si sente minacciata dalla presenza delle forze del califfato presenti ormai sui suoi confini ed il parlamento turco sta decidendo l’ingresso in Siria, anche per risolvere il problema dei profughi siriani fuggiti sul suo territorio, la cui mole sta diventando ingestibile per Ankara; questa decisione potrebbe accelerare la sconfitta dello stato islamico, obiettivamente inferiore di fronte ad un avversario così forte presente sul terreno, ma scatenerebbe la contrarietà del regime di Damasco, fortemente inviso ad Ankara e potrebbe generare una reazione iraniana, soprattutto di tipo politico non conforme ai desideri americani. Nelle intenzioni di Washington non è prevista la restaurazione del governo di Assad, ma favorire l’ascesa dell’opposizione democratica; questa direzione è osteggiata dalla Turchia e dall’Arabia Saudita che preferirebbero un indirizzo di governo più improntato ad un islamismo moderato, tuttavia i due paesi sono divisi dalla opinione sui gruppi come la fratellanza musulmana, invisa ai sauditi. Come si vede, aldilà della rete di alleanze creata, permangono differenze talmente profonde e difficilmente superabili tra i suoi membri, che l’eventuale sconfitta del califfato non potrà che aprire una serie di contenziosi successivi che daranno lavoro alla diplomazia internazionale per molto tempo, ed in modo speciale a quella americana, che sarà chiamata a dirimere situazioni esplosive sempre sull’orlo di un equilibrismo non facile da mantenere.
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