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venerdì 31 ottobre 2014
L'azione militare USA contro il califfato rischia di favorire Assad
Gli Stati Uniti ammettono che concentrare tutta la strategia militare contro lo stato islamico, ha finito per favorire Assad. I bombardamenti degli aerei americani contro le forze del califfato sono avvenute sia in Iraq, che in Siria, dove non sono state autorizzate,ma neppure contrastate da Damasco, neppure con proteste diplomatiche, tanto da fare propendere qualche analista per un nuovo ruolo di Assad nella veste di alleato americano. Questa ipotesi è stata smentita da Washington, che afferma di non potere sostenere politicamente e militarmente uno sforzo bellico su di un territorio così ampio. In realtà gli sforzi degli USA sarebbero ancora più concentrati sul suolo irakeno, tralasciando la difesa dei sunniti più moderati presenti in Siria, obiettivo sia delle forze del califfato che di quelle di Assad. In ogni caso è innegabile che il dittatore di Damasco abbia ottenuto dei benefici dalle azioni che hanno indebolito le forze dello stato islamico e che gli hanno permesso di concentrare la sua azione repressiva contro zone ben determinate del paese sotto controllo delle forze moderate. Assad sfrutta la concentrazione delle azioni militari americane contro il califfato e pone in essere una tattica che mira a conquistare più territorio possibile in vista di una fine del conflitto in modo da presentare al tavolo delle trattative una situazione a lui favorevole. Per questo motivo in molti ambienti statunitensi vengono mosse critiche alla condotta della Casa Bianca, che in questo momento appare effettivamente più concentrata sulla salvaguardia dell’Iraq, con l’esclusione della città di Kobani dove si sono concentrati i bombardamenti in difesa dell’enclave curda. In Siria la situazione umanitaria è piuttosto critica nella zona dove si concentra l’azione di Assad favorito dal ritiro dei jihadisti. L’inviato dell’ONU, il diplomatico italiano ha proposto la creazione di zone libere dal combattimento dove condensare la popolazione civile, da porre sotto l’egida della Nazioni Unite. Una di queste zone sarebbe stata individuata nella città di Aleppo, sottoposta ad attacchi sia da parte dei ribelli, che delle forze regolari siriane. La simultanea situazione di avversità tra le forze ribelli moderate ed il governo di Damasco, contro lo stato islamico, riconosciuto da entrambe estremamente pericoloso, può favorire una soluzione politica che permetta alla popolazione civile di trovare una sorta di tregua dai combattimenti. Questo aspetto potrebbe però nascondere una tattica di Assad, resa a rinforzarlo sul terreno per la maggiore dotazione bellica, se questa ipotesi corrisponde a verità nascerebbe la necessità della presenza di una forza di interposizione neutrale, come i caschi blu, difficilmente reperibile in questa fase del conflitto. Tuttavia un eventuale negoziato potrebbe porre le basi per una soluzione politica del conflitto, con la controindicazione della continua presenza di Assad al tavolo delle trattative. Su questo aspetto le valutazioni americane non sono chiare, se Washington si è sempre dichiarata contraria alla permanenza al potere di Assad è anche vero che l’importanza del ruolo iraniano contro il califfato è cresciuta, mentre la questione del negoziato sul nucleare di Teheran continua a rivestire particolar importanza per Obama. Ponendo che la questione del califfato possa essere risolta, i tempi in cui potrà essere definita incideranno molto sulla presenza o meno di Assad ancora sulla scena. Per Damasco è importante che una eventuale risoluzione del conflitto non sia troppo veloce, perché potrebbe permettere agli USA ed ai suoi alleati come la Turchia e le monarchie del Golfo di concentrarsi sulla sconfitta del regime siriano. Se gli USA non vogliono doversi schierare apertamente in un conflitto contro Assad, come finora hanno evitato, dovrebbero intensificare gli aiuti alle forze moderate, come, invece, non pare avvenire. Sono stati diversi, infatti, gli appelli disattesi effettuati dalle forze moderate, che hanno anche contestato la scelta di difendere Kobani, senza una altrettanta concentrazione sulle zone siriane. La realtà è che è dall’inizio del conflitto siriano, ben prima che nascesse il califfato, che Washington non ha ancora preso una decisione seria e definitiva riguardo ad Assad e questa indecisione cronica è stato uno degli elementi che ha favorito la nascita dello stato islamico. Gli USA devono prendere una decisione su Damasco, altrimenti i sospetti che Assad sia diventato un alleato occulto diventerà sempre di più un interrogativo troppo imbarazzante.
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