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mercoledì 15 ottobre 2014

Tutte le difficoltà di Obama contro lo Stato islamico

La riunione dei capi militari dei paesi che partecipano alla lotta contro il califfato, tenuta nei pressi di Washington, ha messo in evidenza come la coalizione sia ancora debole nella propria struttura. Non si tratta di un ragionamento sul piano militare, ma su quello politico. I rispettivi paesi, che hanno aderito all’alleanza, sono condizionati da interessi peculiari, spesso troppo in contrasto con gli alleati, ciò determina un sostanziale immobilismo nelle decisioni che è favorevole all’azione del califfato. Il rischio, per gli Stati Uniti, è quello di trovarsi da solo per l’ennesima volta di fronte al pericolo del terrorismo islamico, per di più contro un avversario che rappresenta un nemico capace di operare su scenari di vasta scala. La strategia americana si basava sul coinvolgimento di stati sunniti, quindi della medesima matrice religiosa, da contrapporre agli integralisti dello stato islamico, soprattutto come principali protagonisti per operazioni di terra, senza la quali, è ormai appurato non si potranno sconfiggere le forze del califfato. Il risultato politico positivo circa il coinvolgimento degli stati sunniti da un punto di vista militare più coinvolgente, tarda, però, ad arrivare e ciò provoca un dibattito, con toni sempre più crescenti all’interno dell’opinione pubblica statunitense. Si capisce che, ancora una volta è in gioco la credibilità sulla scena politica internazionale del Presidente Obama, incalzato dagli avversari repubblicani, che chiedono un maggiore impegno da parte dell’esercito USA. Tuttavia, Obama, ha messo come punto fermo il rifiuto alla partecipazione ad operazioni di terra da parte di personale USA; occorre dire che la gran parte dell’opinione pubblica americana condivide questa impostazione e rifiuta qualsiasi coinvolgimento dei soldati americani in nuove guerre, non comprendendo la minaccia dello stato islamico e considerando la questione, nel migliore dei casi, soltanto per l’aspetto umanitario, senza comprendere le implicazioni geopolitiche del fenomeno che si è formato. Per l’americano medio la guerra in medio oriente è considerata una questione da cui stare fuori, una sorta di regolamento di conti tra tendenze religiose contrastanti. La Casa Bianca è a metà tra chi vuole intervenire e chi rifiuta il coinvolgimento, ma certamente non può stare fuori dalla questione ed il solo apporto aereo è ormai appurato come insufficiente. Neppure la minaccia sulla propria frontiera ha determinato il coinvolgimento dei turchi, impegnati a trarre vantaggio dalla situazione; il comportamento di Ankara è fonte di un profondo dissidio interno nell’Alleanza Atlantica, che pare destinato ad aggravarsi con il perdurare del comportamento turco. Queste difficoltà non hanno permesso ad Obama di essere ottimista, nei confronti di una soluzione a breve termine della guerra: il presidente ha prospettato, infatti, una soluzione a lungo termine, che non potrà che riflettersi negativamente, oltre che sugli equilibri regionali, anche su quelli mondiali; paradossalmente le maggiori difficoltà per gli USA sono quelle di organizzare l’alleanza e di trovare all’interno di essa un minimo comune denominatore che innalzi l’impegno dei membri, piuttosto che le difficoltà belliche vere e proprie.
Per il momento la strategia si focalizza sul togliere le risorse al califfato; fino a questo momento la vendita del greggio consentiva un afflusso di denaro notevole nelle casse dello stato islamico, un aspetto che non pare abbastanza indagato consiste proprio nell’individuazione e nella repressione dei compratori e forse proprio perché riserverebbe brutte sorprese all’amministrazione americana, ma le azioni degli aerei militari hanno ridotto drasticamente la produzione di greggio, riducendo, di conseguenza, l’afflusso finanziario per lo stato islamico. Ma ciò rappresenta soltanto una operazione marginale, l’aspetto che può decidere il conflitto è soltanto la presenza di truppe di terra e, per ora, nessun membro della coalizione ha voluto impegnare i suoi effettivi, quindi Obama può contare soltanto sui combattenti curdi, il debole esercito irakeno e le forze legate all’opposizione democratica in Siria. Di questi tre contingenti, soltanto quello curdo può assicurare una certa affidabilità, soprattutto se appoggiato dal cielo, come hanno dimostrato i combattimenti in Iraq. Ma gli effettivi curdi sono troppo pochi e senza un appoggio di un esercito regolare sul terreno non possono conseguire la vittoria: sarà questo il tema centrale su cui Obama dovrà fare leva per ottenere aiuti più concreti, badando a non stravolgere troppo i precari equilibri diplomatici presenti.

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