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lunedì 3 novembre 2014

La necessità di contenere il riscaldamento globale come prevenzione degli effetti del cambiamento climatico

La necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica è ormai divenuta molto urgente, dato il livello di riscaldamento globale ormai raggiunto dal pianeta; la valutazione, quasi scontata, è stata resa ufficiale dall’organismo denominato Gruppo Intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, a seguito dei risultati raccolti dal 2007 e presentati il giorno 2 novembre a Copenaghen. Questa relazione dovrebbe fornire la base scientifica su cui elaborare i piani industriali interni degli stati e di conseguenza fissare i limiti entro i quali agire durante i negoziati internazionali, che dovrebbero tenersi a Parigi nel 2015, per raggiungere un accordo globale sulla regolamentazione delle emissioni. La preoccupazione maggiore è il continuo verificarsi di cambiamenti climatici rilevanti, capaci di creare fenomeni che hanno alterato la portata dei fenomeni atmosferici, con pesanti ricadute economiche e sociali dei disastri dovuti al riscaldamento globale. La soglia da non superare per non aggravare la tendenza dei disastri naturali è stata valutata in aumento di non più di due gradi centigradi della temperatura globale, al di sopra di questa cifra non si ritiene possibile limitare gli effetti dei cambiamenti climatici, il cui cambiamento ha acquisito una velocità non più molto controllabile. Le misure per sostenere questo limite sono però drastiche: entro il 2050 le emissioni di gas come anidride carbonica, metano e protossido di azoto, responsabili dell’effetto serra, dovranno essere diminuite del 70%, per scomparire totalmente entro il 2100. Questa esigenza sottintendo la necessità di eliminare quasi del tutto l’estrazione e l’utilizzo dei combustibili fossili, investire su energie alternative, migliorare l’efficienza energetica riducendo gli sprechi e ridurre la deforestazione globale. Questi fattori richiedono, però uno sforzo non indifferente che va coniugato con la necessità di investire già quote considerevoli di prodotto interno lordo dei singoli stati in tempi rapidi. Il maggiore ostacolo a questa esigenza è rappresentato da una apparente inconciliabilità con la crescita economica, il parametro che sempre di più influenza la vita di tutte le nazioni mondiali. Malgrado le rassicurazioni di  Rajendra Kumar Pachauri,  Presidente del Gruppo di esperti intergovernativi sull’evoluzione climatica, che ha affermato l’esistenza di varie soluzioni che possano permettere la crescita  e lo sviluppo economico, conciliate con il rispetto dell’ambiente, senza un cambiamento generale dell’atteggiamento verso l’utilizzo delle fonti di energia e dei relativi i mezzi di produzione che le utilizzano, non pare possibile la realizzazione dell’obiettivo della crescita della temperatura del pianeta sotto i due gradi. Tuttavia è anche vero che siamo di fronte ad un processo, che riguarda cambiamenti climatici, avviato a diventare irreversibile e quindi a creare per il futuro un costo economico sempre maggiore, che determina la necessità di intervenire il prima possibile per  evitare costi sia sociali che economici praticamente insostenibili. Nel bilancio dell’inquinamento entrano anche valutazioni strettamente legate ai costi indotti, non solo economici, ma anche sociali: le ragioni di equità sociale, legate alla lotta alla povertà, sono intimamente legate agli impatti che il cambiamento climatico ha sulle società e sui paesi meno sviluppati, che devono contare su risorse proprie minori per affrontare il problema. Valga da esempio l’incremento del  fenomeno della carestia, dovuto alla desertificazione di ampie zone dell’Africa, che ha causato molte vittime per denutrizione e costretto ingenti masse di persone ad abbandonare i loro paesi per intraprendere veri e propri esodi verso altre nazioni, generando squilibri sociali notevoli. Se la sicurezza alimentare rappresenta già un problema, comunque destinato purtroppo a crescere, l’emergenza idrica, già presente in diverse zone del mondo, è destinata ad acuirsi, aprendo un nuovo fronte di confronto mondiale capace anche di degenerare in conflitti. I segnali che il pianeta ci invia sono inequivocabili:  l’innalzamento del livello del mare, la diminuzione della superficie dei ghiacciai e la variazione della diffusione delle specie marine e terrestri indicano che l’urgenza di un cambio di direzione è necessario fin da subito. Restano però da convincere i paesi industrializzati, sia quelli di vecchia data, sia quelli che si sono affacciati nel mondo della produzione di massa in tempi relativamente recenti. Attualmente, aldilà delle dichiarazioni di facciata, lo sfruttamento  intensivo delle risorse è regolato soltanto dalla logica economica del breve periodo, in completa antitesi con gli esperti del clima che ragionano su periodi molto più lunghi, tuttavia, la rapidità dei cambiamenti climatici e, soprattutto, i loro effetti, stanno riducendo la visuale temporale tra le due parti. Il compito della diplomazia internazionale è di trovare il modo di superare questa differenza e cercare di fare coincidere i tempi di previsione, cercando di incentivare modelli di crescita totalmente compatibili con le esigenze ambientali, si tratta di uno sforzo immane perché le due necessità appaiono incompatibili all’interno di un sistema che predilige l’aumento della ricchezza a qualunque costo. Ma la necessità di mantenere lo sviluppo economico entro certi standard ben delimitati non è più solo la richiesta degli ambientalisti, spesso visti come catastrofisti fuori dal mondo, ma proviene da scienziati che hanno elaborato previsioni su dati scientifici inconfutabili, sui quali i leader del mondo hanno la responsabilità di ragionare senza sottovalutarli assolutamente.

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