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lunedì 17 novembre 2014

L'Afghanistan si avvicina al Pakistan

La politica estera dell’Afghanistan subisce un brusco cambiamento con l’elezione di Ashraf Ghani come successore di Hamid Karzai; quest’ultimo aveva impostato una alleanza con l’India, naturale avversario del Pakistan, ma il nuovo presidente, da poco insediato a Kabul, sembra puntare verso Islamabad. Le ragioni sono più che comprensibili: l’India, pur rappresentando potenzialmente un alleato con maggiori capacità di investimento, è troppo lontana e, soprattutto, non ha la capacità di negoziato con le milizie islamiche avversarie del governo afghano, che il Pakistan detiene. Per Islamabad levare all’India un paese con cui condivide la frontiera, rappresenta una vittoria e, nel contempo, una garanzia di maggiore sicurezza nazionale. Su queste basi il rapporto tra i due paesi sembra avere preso un nuovo slancio, come testimonia l’esito della visita nella capitale pachistana da parte della massima autorità afghana. Ghani ha rilevato come sia fondamentale per i due paesi superare le reciproche differenze, spingendosi a dire che il loro rapporto dovrebbe avere uno sviluppo analogo a quello compiuto tra Parigi e Berlino. Pur non trascurando gli effetti di una collaborazione economica, creando insieme i presupposti per attrarre gli investitori, per l’Afghanistan è importante trovare nel Pakistan un alleato capace di lavorare sul piano diplomatico con le milizie islamiche, che usano le valli di confine per nascondersi e da li colpire. La difficoltà di avviare negoziati con i talebani è oggettiva e le tattiche portate avanti da Karzai, che si sono rivelate fallimentari, lo dimostrano ampiamente: da sola Kabul non può intraprendere un percorso di pacificazione e neppure puntare su di un atteggiamento esclusivamente repressivo, perché neppure l’esercito più potente del mondo è riuscito a sconfiggere del tutto le milizie islamiche. Il Pakistan rappresenta l’alleato ideale per i suoi contatti con i gruppi estremisti e per l’interesse a stabilire una pace duratura lungo la sua linea di confine. Vista sotto questa ottica la tattica di Ghani è indubbiamente ragionevole, tuttavia, se il punto di forza dell’alleanza con Islamabad sono proprio i contatti con l’ambiente dell’estremismo islamico, questo fattore rappresenta altrettanti punti di rischio. Occorre ricordare che la effettiva sovranità del governo pakistano non è estesa a tutto il suo territorio e che parti consistenti sono controllate dalle milizie islamiche, inoltre il ruolo dei servizi segreti pachistani è spesso contraddittorio per l’eccessiva promiscuità con elementi al di fuori della legge ed esponenti dei movimenti musulmani integralisti, dai talebani fino ad Al Qaeda, fattore che ha più volte provocato le accuse degli USA, fino a fare diventare il Pakistan un alleato non affidabile, infine la presenza, molto tollerata, sul suolo pachistano di  membri di piano dell’integralismo musulmano ricercati dagli Stati Uniti, di cui Bin Laden è soltanto l’esempio più eclatante. Ghani non può non essere a conoscenza di questi fattori, tuttavia preferisce rinunciare al rapporto con l’India, che poteva essere privilegiato proprio in funzione anti pachistana, per rassicurare le forze armate di Islamabad, con la speranza che queste possano estendere il loro controllo sulle zone controllate dai talebani e, nello stesso tempo, convincerli a trattare una pace da troppo tempo inseguita. Deve essere riconosciuto al nuovo presidente afghano che ha necessità di muoversi velocemente, perché la data del 31 dicembre, quando il grosso del contingente americano lascerà il paese, si avvicina: dopo in Afghanistan resterà un numero di effettivi tra i 10.000 ed i 15.000 uomini con la funzione di addestrare e formare l’esercito locale e la copertura aerea di diverse zone verrà a mancare favorendo potenziali azioni da parte delle milizie talebane. Con questo scenario la strategia di Ghani è comprensibile e probabilmente anche obbligata, anche se comprende più di un rischio. D’altro canto, anche senza tenere in debito conto i dubbi che riguardano il Pakistan, occorrerà verificare se i talebani vorranno sedersi al tavolo delle trattative, ancorché queste, poi saranno coronate da successo. I rappresentanti dei talebani, infatti, continuano a rifiutare il negoziato fin quando il paese afghano non avrà più sul suo territorio soldati stranieri. Sarà proprio questa la difficoltà che il Pakistan dovrà superare come intermediario diplomatico nel rapporto tra stato afghano e milizie talebane.

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