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giovedì 11 dicembre 2014

Alcune idee per migliorare la vita politica italiana

Dietro la grande situazione di illegalità che sta attraversando l’Italia, in balia di una corruzione sempre più diffusa, vi sono certamente lacune nel controllo, situazioni di comodo che convengono alla maggior parte delle componenti politiche, ma soprattutto un impianto elettorale che non impedisce la diffusione del malcostume. L’attuale scenario, compreso in una situazione economica in grave depressione, ha allontanato sempre di più i cittadini dalla politica, sia attiva, che passiva, per la delusione del comportamento che riguarda tutte le forze politiche italiane, vecchie e nuove. I provvedimenti del governo, che paiono costruiti in ossequio ad una logica rigorista, ma incapace di costruire basi salde per gli investimenti indispensabili per la ripresa economica, hanno contribuito anch’essi, ad una sostanziale indifferenza generalizzata, che si è concretizzata con affluenze alle urne sempre più basse. Il segnale è eloquente, ma non viene raccolto dagli esponenti politici, specialmente quelli vincenti, che si nascondono dietro a regole elettorali inadatte a recepire il fenomeno dell’astensione, perché, semplicemente non lo contemplano. A ciò si deve aggiungere la mancata diffusione di principi che impediscono la rotazione negli incarichi politici ed anche il divieto di ricoprire più cariche pubbliche. Il risultato è la ripetizione degli incarichi politici per diversi anni alle stesse persone, quando queste non si tramandano la carica pubblica di padre in figlio, come se fosse un diritto familiare acquisito. Per troncare questo sistema, che determina il blocco delle politica in Italia e favorisce la corruzione, occorre costruire norme che impediscano la candidatura  quando si ricopre un altro incarico, il divieto ad interrompere un mandato elettivo per candidarsi ad altra carica, la rotazione della copertura degli incarichi politici grazie al blocco dei mandati, che non dovrebbero essere più di due consecutivi nella stessa carica, a cui fare seguire un intervallo di almeno una legislatura di incandidabilità. Per recepire il fenomeno dell’astensionismo, che può anche soltanto essere il rifiuto di esercitare l’elettorato attivo per mancanza di offerta in cui riconoscersi, occorre introdurre una quota fisiologica del 10-15% di elettori che rifiutano di votare, sotto la quale diminuire proporzionalmente il numero degli eletti in base ai votanti. Gli scranni vuoti  rappresenterebbero l’astensionismo e spingerebbero i politici ad azioni più incisive e condivise per ridurlo. Sulle ragioni dell’opportunità di una rotazione che sappia coinvolgere un numero maggiore di cittadini per amministrare la cosa pubblica appare evidente che un maggiore ricambio, cioè nel caso italiano di un ricambio pressoché completo, potrebbe impedire la creazione della rete clientelare, che è il fattore strutturale della corruzione capace di drenare risorse allo sviluppo. Tuttavia questi temi non sembrano essere recepiti dalla classe politica, si parla di leggi elettorali, ma non di ricambio del personale politico. Del resto il rifiuto, che viene da parti politiche opposte, di rinunciare ad esercitare l’opzione della scelta dei candidati, dimostra che il paese italiano più che essere governato, risulta essere in ostaggio dei partiti. Proprio dalla costituzione del partito, come forma politica vitale cui la costituzione conferisce il potere di determinare la politica italiana, occorrerebbe partire per una revisione dell’amministrazione della cosa pubblica. Se i partiti nella loro competizione sono soggetti a regole democratiche, non esiste alcuna legge che ne regoli il loro funzionamento interno; si è così assistito ai partiti personalistici, nei quali la linea politica è decisa esclusivamente dal capo, che ne è spesso fondatore e finanziatore, circondato da un apparato consenziente appiattito sulla linea ufficiale, per ragioni che spesso coincidono con la convenienza, e dove non vi è dibattito alcuno, ai partiti dove il potere è esercitato da forme di direttorio, fino a quelli falsamente democratici, dove le false tessere permettono a comitati d’affari di dettarne la linea. Senza una regolamentazione della vita dei partiti, che devono assumere una rilevanza non più privatistica, non vi è garanzia di democrazia effettiva. Se il partito è il nucleo da cui parte l’esercizio della vita pubblica deve essere soggetto a pratiche analoghe a quelle che andrà ad esercitare nei luoghi deputati al dibattito democratico, in caso contrario, come accade puntualmente, siamo di fronte ad un organismo inaffidabile teatro di lotte intestine e prevaricatrici, che si riflettono nella competizione democratica e nel suo esercizio. Senza queste basi di partenza qualsiasi politico prenda il potere, lo fa in una falsa democrazia che non garantisce  il puntuale controllo degli atti politici e la loro condotta. Si è quindi di fronte alla necessità di spingersi aldilà delle pieghe in cui la democrazia matura si è adagiata, perdendo spesso il suo significato originario: quello della  partecipazione e della reale rappresentanza. Perdendo di vista queste caratteristiche si rischia un autoritarismo mascherato che può degenerare in peggio, ma senza mai darlo a vedere.

1 commento:

  1. Seconod me i politici sono troppo attaccati alla poltrona. Dovrebbero seguire l'esempio di questo europarlamentare che ha raccolto questa nuova sfida.

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/27/europee-eletto-udc-non-si-ricandida-e-rinasce-in-versione-rock-terminator/964995/

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