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venerdì 5 dicembre 2014
Putin punta sul nazionalismo contro la crisi economica
Criticato in patria per gli effetti delle sanzioni, Putin ha tenuto il suo discorso annuale al parlamento, accusando l’occidente di effettuare una politica di contenimento della Russia e di attuare una tattica di disgregazione della paese paragonabile a quella effettuata in Jugoslavia. Con queste affermazioni il presidente russo cerca di centrare due obiettivi: uno interno ed uno esterno. Su quest’ultimo il paragone con la Jugoslavia cerca di stimolare le simpatie che la Serbia riserva alla Russia per provocare un ennesimo fastidio all’Unione Europea, al cui ingresso Belgrado si è candidata. Per Mosca sarebbe un successo rallentare, se non addirittura interrompere, il processo di inclusione della Serbia voluto fortemente da Berlino. Creare un’area di forte contrarietà all’Europa in un paese così centrale deve essere diventata una strategia su cui Putin punta molto, anche grazie ai favori che riscuote nel paese slavo, dove molti settori della società si sentono più affini alla Russia che a Bruxelles e dove si può sfruttare ancora il rancore per l’intervento dell’Alleanza Atlantica durante la guerra di dissoluzione della Jugoslavia. Sul fronte interno Putin deve convincere i suoi concittadini, che l’occidente sta applicando uno schema simile a quello che ha favorito la dissoluzione jugoslava, falsificando impunemente i dati storici. Il presidente russo parte dell’assunto che non solo l’Ucraina e la Crimea facessero parte integrante del territorio russo, non riconoscendo implicitamente la sovranità di Kiev, ma che anche altri territori ex sovietici siano di competenza di Mosca. Putin punta sull’orgoglio nazionale ferito, un sentimento sul quale i russi sono molto sensibili e che gli ha permesso, in concorso con altri, di ottenere i ripetuti successi politici. Tuttavia gli effetti delle sanzioni hanno provocato un sensibile peggioramento dell’economia del paese, afflitta dall’inflazione e dalla diminuzione del potere di acquisto derivante anche dalla discesa del prezzo del petrolio. Le previsioni economiche di Mosca devono quindi subire un ulteriore ribasso e la concomitanza, peraltro inattesa, tra sanzioni e diminuzione del greggio , rischiano di creare forti tensioni sociali, che i sentimenti nazionalisti potrebbero non scongiurare. Putin ha allertato l’istituto di credito centrale ad attuare una strenua difesa del rublo, che determinerà un intervento massiccio sul mercato con una azione tesa a rinforzare il nucleo produttivo del paese, differenziandolo dal settore primario. Per anni la Russia ha formato la sua ricchezza con le materie energetiche, ma non ha creato una struttura industriale tale da supportare un paese così esteso. Sfruttare le materie prime era il mezzo più sicuro e veloce per produrre una liquidità che, però, non è stata investita nelle strutture interne, ma piuttosto in avventure finanziarie all’estero. Questa modalità è stata valida fin quando non si sono verificati scontri con i pesi dove questi capitali erano esportati. L’embargo ha privato così il paese dei guadagni provenienti dagli investimenti esteri e lo ha lasciato impreparato a gestire la crisi con una propria struttura industriale capace di assorbire gli effetti delle sanzioni. In questo campo Putin è stato tutt’altro che lungimirante e la misura studiata per favorire il rientro dei capitali senza alcuna penalizzazione rappresenta l’implicita ammissione di colpa dell’assenza di un progetto economico che sapesse andare oltre lo sfruttamento delle materie prime. Attualmente la Russia si presenta come nazione colpita nell’unico settore trainante e quindi, non avendo differenziato la propria capacità produttiva, in uno stato di crisi, che anche l’eventuale allentamento delle sanzioni, potrebbe solo attenuare. Questo fattore contribuisce a non variare la politica estera di Putin nei confronti dell’Ucraina e quindi la tensione con l’occidente resta elevata, da ciò discende l’uso strumentale della colpevolizzazione dell’ovest del mondo nei confronti dell’opinione pubblica interna. La commistione presente tra cattiva gestione economica ed errori internazionali obbligherà Putin a mantenere la propria linea di condotta, che in caso di esasperazione della situazione rischia di essere accentuata, con evidenti ricadute sulla stabilità mondiale, in una fase dove le nazioni più importanti dovrebbero trovare un minimo comune denominatore capace di aggregarle per risolvere i conflitti emergenti sempre più in grado di trasformarsi in questioni globali.
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