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mercoledì 7 gennaio 2015

Crescono i rifugiati nel mondo, la Siria è il primo paese

L’emergenza umanitaria determinata dall’afflusso di profughi e rifugiati, ha registrato un sensibile aumento a causa dell’espansione della situazione della presenza di conflitti nel mondo. Il Commissariato per le Nazioni Unite per i rifugiati ha segnalato, che nel primo semestre del 2014 gli esodi hanno riguardato ben 5,5 milioni di persone, di cui 1,4 milioni sono fuggite dal proprio paese e la parte restante è rimasta in altre zone all’interno dei confini del proprio stato.  Gli scenari peggiori riguardano le aree del Medio Oriente e dell’Africa, dove sono in corsoi conflitti più sanguinosi, spesso basati su cause religiose. L’interminabile guerra civile siriana ha causato il triste primato per gli abitanti della Siria, che hanno superato gli afghani, nella popolazione che ha dovuto essere maggiormente assistita dal Commissariato per le Nazioni Unite per i rifugiati. Questo triste primato era detenuto da ben tre decenni dai cittadini afghani. Il dato complessivo degli assistiti dalle Nazioni Unite è così salito a 46,3 milioni, aumentando di 3,4 milioni di unità dalla fine del 2013. Trattandosi di dati fermi alla data del primo semestre dal 2014, il dato è purtroppo destinato a crescere in maniera ulteriore per il persistere di situazioni di grave crisi militare, che provoca scenari molto problematici dal punto di vista umanitario. La mancata risoluzione della crisi siriana dovrebbe essere inquadrata non solo nell’ottica dei rapporti internazionali, ma, piuttosto,  nel dato che il 23% di tutti i rifugiati proviene da quel paese. Questo valore spiega bene la dimensione della tragedia siriana ben più che molte analisi geopolitiche e strategiche, che dovrebbero essere scavalcate dalla drammaticità della situazione per la popolazione per esortare ad interventi di pacificazione le nazioni più ricche e gli stessi organismi internazionali, ormai troppo inutili dal lato politico a causa della loro staticità. Questa valutazione, per un intervento capace di fermare la guerra, dovrebbe scavalcare ogni prudenza ed impedire il protrarsi di situazioni troppo lunghe ed essere applicato alla totalità dei conflitti che generano il fenomeno dei rifugiati. Certamente anche una maggiore oculatezza nella gestione delle crisi, dal punto di vista politico e diplomatico, avrebbe fornito un grosso aiuto per la prevenzione dell’allargamento di ogni conflitto. Quello che manca è il potere neutro di intervento delle Nazioni Unite, bloccate nel suo organo principale, il Consiglio di sicurezza, da una assurda normativa che consente il potere di veto a stati con interessi spesso contrari, che utilizzano lo strumento sovranazionale per i loro scopi geopolitici. Il valore del numero  dei rifugiati dovrebbe essere preso a misura, in senso assoluto, per determinare un intervento neutrale capace di bloccare i conflitti e cercare una soluzione negoziata che impedisca la scelta della soluzione della fuga a civili inermi. Scorrendo i dati l’Africa continua ad essere una parte importante del fenomeno dei rifugiati, dove le cause non sono costituite soltanto dalle guerre, ma anche dalle carestie. Dopo Siria ed Afghanistan vi è la Somalia (con 1,1 milioni) seguita da Sudan (670.000), Sud Sudan (509.000), Repubblica democratica del Congo (493.000), Birmania (480.000) e l'Iraq (426,0000 ). Si tratta di una classifica causata da conflitti militari e politici, carestie, mancanza di acqua e d i alternative valide per restare nel proprio paese. Analogamente esplicativa è però la graduatoria dei paesi che ospitano più rifugiati, dove il Pakistan è il capofila con 1,6 milioni, a causa della vicinanza con l’Afghanistan i cui cittadini scelgono il paese più prossimo, seguito da Libano (1,1 milioni), Iran (982.000), la Turchia (824.000), la Giordania (737.000), Etiopia (588.000), Kenya (537.000) e Ciad (455.000). Come si vede non figura alcun stato ricco  occidentale e neppure tra i paesi emergenti. L’impegno in termini di accoglienza da parte di Etiopia, Kenya e Ciad, dimostra che lo sforzo a cui sono sottoposti questi paesi rischia di comprometterne la struttura statale, perché troppo sollecitata e senza le dovute risorse. Si assiste così all’ulteriore problema del trattamento che i profughi possono ricevere, spesso insufficiente e fonte di peggioramento sanitario per la mancanza delle strutture adeguate.
La forte presenza di rifugiati in Libano, Turchia e Giordania risente dell’influsso della migrazione siriana per la vicinanza con Damasco, che inizia a provocare gravi disagi in questi paesi per l’insostenibilità della pressione dei rifugiati, tanto da indurre il Libano ad adottare la necessità dal visto per chi arriva dalla Siria. Il numero dei rifugiati assistiti dalle Nazioni Unite non include i palestinesi, per i quali vi è una apposita agenzia dell’ONU e non comprende nemmeno i rifugiati di quei paesi che non richiedono l’intervento del Commissariato per le Nazioni Unite per i rifugiati, che quindi agisce soltanto su richiesta e non potrebbe essere altrimenti per motivi legati al diritto internazionale, e che, quindi, ammonta ad un numero ancora maggiore dei 46,3 milioni registrati. Ciò impone una riflessione che deve portare ad un accordo tra le nazioni per ridurre il prima possibile questo fenomeno che provoca sofferenza ed è destinato ad alimentare situazioni al di fuori della legalità contribuendo a rinforzare proprio quei movimenti che provocano il fenomeno.

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