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lunedì 5 gennaio 2015
Per la Commissione europea l'appartenenza all'euro non è revocabile
La Commissione europea nega che ci sia la possibilità di una uscita della Grecia dall’area dell’Euro, quindi la situazione, nel caso di una vittoria della sinistra, non contemplerebbe più la via d’uscita pensata da Berlino. Tuttavia il pensiero tedesco, anche se non completamente ufficiale, è condiviso da altri paesi europei come la Repubblica Ceca e la Spagna, che temono un assalto della speculazione alla moneta unica, almeno fino al risultato finale delle elezioni elleniche. La sinistra greca non arretra dai suoi propositi e, pur intenzionata a rimanere nell’euro, mette al centro del proprio programma la ristrutturazione del debito pubblico del paese, salito da 240 a 280 miliardi a causa degli interessi, nonostante la percentuale di questi si sia abbassata dal 5% di partenza al 2% di media attuale. L’intenzione della sinistra greca è di rifondere il debito verso la Troika quando la crescita del paese risalirà alle percentuali del 3 o 3,5%. Questa impostazione è dovuta all’errore che avrebbero commesso i dirigenti della Troika, nel concedere il prestito, che asserivano che la somma avrebbe generato una crescita del 4,5%, fatto impossibile con interessi così elevati da restituire, un errore riconosciuto anche dal Fondo Monetario Internazionale. La sinistra greca contesta quindi le modalità del prestito da parte della Troika ma tutela i debiti verso gli investitori privati, che dovranno essere rimborsati nei termini previsti. Una obiezione di Bruxelles a questa impostazione è che gli accordi precedentemente sottoscritti dovranno essere rispettati anche dal nuovo governo di Atene. Ed è proprio questo il punto fondamentale: cosa succederà se la sinistra vincerà le elezioni ed applicherà così il suo programma? Deve essere sottolineato che l’economia greca rappresenta appena il 2% del prodotto interno lordo di tutta la UE e quindi non rappresenta un rischio per il sistema complessivo globale; quindi la situazione potrebbe essere risolta con una maggiore flessibilità da parte di Berlino, che dovrebbe accantonare la propria volontà punitiva, ed, anzi, sostenere un piano di investimenti globale capace di stimolare l’economia greca per riavere indietro i prestiti. Il sospetto sembra essere che un piano del genere potrebbe anche essere concesso ad Atene, ma non esteso ai principali competitori della Germania, come Francia ed Italia, che sono quelli che spingono di più per una politica meno rigida. Intorno al caso greco si sta sviluppando una rete di interessi controversi, che potrebbero essere rivendicati nei confronti della politica imposta dalla Germania. A tale proposito le dichiarazioni del presidente francese Hollande, pur restando molto caute, hanno sottolineato come la Grecia e la Spagna abbiano pagato enormi tributi alla stabilità della moneta unica, facendo coincidere l’idea di Europa con quella di austerità, il contrario di quanto necessita la UE, che dovrebbe dare un maggiore impulso alla crescita. Il senso di questo discorso è quindi completamente contrario alle intenzioni di Berlino. Ad aggravare la situazione vi è stata anche l’accusa rivolta alla Merkel, di ingerenza negli affari interni greci, cosa che Atene non si è mai permessa, neppure quando era creditrice verso Berlino nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Il ricordare periodi bui e lontani della storia europea è stato spesso uno strumento che la Grecia ha usato contro la Germania e che non fa che allontanare la prospettiva dell’unione politica. Gli effetti pratici sulla valutazione dell’Euro sono stati una riduzione del valore della moneta unica. La dichiarazione della Commissione europea arriva, dunque, a confondere ancora di più lo scenario, dato che sembra impossibile che la Germania subisca il programma che la sinistra greca attuerà in caso di vittoria, mentre una possibilità concreta potrà essere che Francia ed Italia, che finora hanno agito sottotraccia per avere maggiori investimenti, escano allo scoperto e reclamino l’allentamento dei vincoli di bilancio in maniera più forte, generando tensioni non indifferenti tra i maggiori paesi aderenti alla moneta unica. Potrebbe trattarsi del banco di prova più difficile per l’euro, perché non di natura finanziaria, ma politica.
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