Nonostante la fine del tribolato periodo elettorale, concluso con la vittoria, abbastanza incerta sul piano politico, del Presidente Ashraf Ghani, l’Afghanistan si trova praticamente ancora senza un governo con il pieno potere delle sue prerogative per esercitare l’azione dell’esecutivo. La questione verte sul rifiuto del parlamento di approvare i ministri che sono stati nominati dal capo dello Stato, per ragioni diverse, tra cui il possesso della doppia cittadinanza, incompatibile con le funzioni di ministro ed un caso di corruzione. Questa situazione, unita al ritiro dei contingenti stranieri, rischia di fare precipitare il paese in un a grave situazione di debolezza e di instabilità. Esiste, pertanto, il concreto rischio di una ripetizione potenziale del caso irakeno, dove un affrettato ritiro, unito ad una pessima gestione interna degli equilibri politici, ha portato il paese vicino alla dissoluzione e concorso alle condizioni che sono state essenziali per la creazione dello Stato islamico. Dopo le elezioni l’idea fondamentale era quella di creare un esecutivo di unità nazionale, per superare le difficoltà di una campagna elettorale difficile e per l’esigenza di creare un governo stabile e forte, capace di gestire le emergenze nazionali. Al contrario, la situazione attuale, presenta uno scenario dove i ministeri cruciali, come quello della difesa, restano assegnati ai ministri ad interim, ma con poteri ridotti rispetto a quelli previsti dalla normativa di legge. Si comprende che, con prerogative ridotte, l’esecutivo fatica a fare fronte alle emergenze del paese, come la rivolta dei talebani, la corruzione ed il grave stato dell’economia. Quello che si prefigura è uno stato che si dirige verso una situazione di grave instabilità, che rappresenta un terreno di coltura molto fertile per le forze avverse al sistema statale cresciuto grazie alla presenza di garanzia dei contingenti internazionali, ma che senza questa salvaguardia, nell’attuale situazione, difficilmente potrà sopravvivere alle difficoltà con cui è alle prese. Lo stato dell’economia, uno dei baluardi contro l’affermazione della cultura talebana, versa in condizioni precarie, per la ridotta crescita del prodotto interno lordo, dovuta ai mancati introiti derivanti dagli aiuti internazionali; queste somme sono venute a mancare dal momento della partenza delle truppe straniere, che garantivano anche una protezione degli investimenti esteri. Si è così passati da un incremento record del prodotto interno lordo del 2012 nella misura di un più 14,4%, al valore del più 4,9% del 2013, fino a scendere al più 1,5% del 2014. Si tratta di un decremento significativo su di un economia povera, che non ha ancora trovato una dimensione più avanzata in grado di assicurare forme di sostentamento autonomo per la propria popolazione. Questo argomento è strettamente connesso con il problema dei talebani, che trovano maggiore facilità di penetrazione in una società impoverita, che poteva distaccarsi dalle pratiche tribali e fondamentaliste anche grazie a sensibili miglioramenti economici. La scelta dei talebani di rifiutare i negoziati di pace e mantenere la politica della lotta al governo di Kabul, potrebbe essere decisamente avvantaggiata da un esercito nazionale senza una salda leadership ed ancora non totalmente preparato a combattere da solo contro le milizie talebane. Secondo alcuni analisti senza un rinnovato e maggiore impegno della NATO, sul lungo periodo le forze armate regolari dovranno cedere i loro vantaggi strategici alle forze talebane, rimettendo in pericolo l’integrità dello stato nella forma attuale. Per gli Stati Uniti e le potenze occidentali, non deve ripetersi, quindi la lezione irakena, dove non si è governato il passaggio istituzionale, lasciando ad una classe politica non pronta ed impreparata la completa gestione del potere nazionale grazie ad un brusco e non graduale passaggio di consegne. Già in passato l’Afghanistan è diventato uno stato terrorista e per sradicare ciò si sono perse vite umane e speso capitali ingenti: questi investimenti non devono essere sprecati in nome di una visione miope, che potrebbe riportare tutto alla situazione antecedente all’intervento nel paese.
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