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giovedì 19 marzo 2015
Il caso greco oltre il problema economico
La Grecia continua ad essere al centro dei problemi europei. La riunione del primo ministro di Atene con i suoi omologhi di Francia e Germania e con la Commissione europea, la Banca Centrale europea ed il presidente dell’eurogruppo, deve risolvere il caso più urgente, rappresentato dalla imminente fine della liquidità del sistema bancario del paese ellenico. Alla Grecia vengono chieste continuamente riforme in senso restrittivo della spesa pubblica, ma il governo di Atene ha appena approvato, con il sostegno dell’opposizione una legge per fornire aiuti materiali ed economici alla parte della società maggiormente colpita dalla crisi. L’approvazione in modo compatto di una misura, che contrasta in modo aperto con i voleri della Germania e le indicazioni di Bruxelles, significa che nel paese greco la situazione è ad un punto limite, che può diventare di non ritorno, se l’Unione Europea non elaborerà di piani di solidarietà, che possano permettere alla popolazione greca di recuperare un minimo di aiuti sociali per riuscire a convivere con il grave stato di crisi. Materialmente l’obiettivo più immediato deve essere quello di sbloccare 7.200 milioni di euro di aiuti per Atene, ora bloccati perché le misure per il rientro del debito elaborate dal governo greco sono ritenute insufficienti. Il punto cruciale della questione è che l’intenzione dell’esecutivo della Grecia è quella di rifondere i debiti in base ad una crescita economica del paese, che deve essere, però sostenuta da aiuti e programmi della UE, realmente efficaci e non come quelli elaborati dalla Troika, che si sono rivelati fallimentari ed inadatti e che hanno avuto il solo risultato di aumentare il debito. La posizione della Germania è, invece, basata sui freddi dati di bilancio e secondo Berlino il raggiungimento del rientro del debito greco si può realizzare soltanto con misure ancora più pesanti da imporre al tessuto sociale del paese. Si tratta di una ipotesi impraticabile, per la obiettiva situazione, in alcuni casi sempre più frequenti, di oggettiva miseria che sta avanzando progressivamente nella società greca. Ormai nel paese il ceto medio è stato praticamente cancellato dalle rigidità di bilancio imposto dalla UE e gli strati sociali si sono ridotti notevolmente, fino a convergere alla distinzione tra poveri ed indigenti. Esiste, certo, una categoria di ricchissimi, che stride con la maggior parte della popolazione e sottolinea la presenza di un elevato livello di diseguaglianza. In questa situazione avere trovato un governo che non vuole uscire dall’euro, ma richiede soltanto di potere trovare una via alla crescita appare quasi un miracolo, eppure a Bruxelles, ed a Berlino, non capiscono questa fortuna politica. La situazione preoccupa molto anche gli Stati Uniti, ma non per ragioni economiche: la disponibilità della Russia, che si è fatta avanti più volte con Atene, ma anche con Belgrado, per fornire aiuti economici non è affatto da sottovalutare. Mosca potrebbe volere portare una spaccatura dentro l’Unione Europea, sfruttando le difficoltà economiche presenti per creare una sorta di alleanza basata sul tema religioso, un aspetto su cui Putin punta molto per aumentare il senso di identità del proprio paese, Mosca otterrebbe un doppio risultato, se riuscisse a fornire aiuti ad Atene: incrinare l’unità europea e stringere rapporti stretti con un membro dell’Alleanza Atlantica; tutto questo mentre la stessa Unione Europea è in procinto di riunirsi per decidere eventuali nuove sanzioni verso la Russia per la questione Ucraina. Lo scenario è quindi più complicato di quello basato soltanto sui dati di bilancio ed a cui deve essere aggiunta la visita programmata nei primi giorni di Aprile, del primo ministro greco a Mosca. Siamo di fronte, quindi a problemi di politica estera che non sono certo complementari alle ragioni economiche, ma che anzi rischiano di diventare più importanti. Mentre resta sullo sfondo ancora la possibile uscita greca dall’euro, che potrebbe aprire pericolosi casi emulazione in altri stati della moneta unica, dove i movimenti politici contrari all’euro acquistano sempre più consensi.
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