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venerdì 6 marzo 2015
La Cina conferma il suo modello autoritario
Il Congresso nazionale del popolo, durante la riunione a Pechino, ha ribadito la fondamentale importanza della via cinese al capitalismo, seppure riconoscendo la necessità di una maggiore attenzione ai bisogni della popolazione. Si tratta però solo di esigenze materiali, da non mescolare assolutamente alla concessione di diritti politici e civili, che sono visti come elementi di intralcio allo sviluppo del paese, proprio perché mettono in dubbio i punti fermi del sistema cinese, che deve essere , invece, oggetto di rafforzamento. Sul punto è stata più volte ribadita la necessità di rafforzare il modello socialista cinese, l’unico in grado di assicurare lo sviluppo del capitalismo controllato in modo ferreo da un unico soggetto; ciò consente di non derogare dai piani prestabiliti ed assicura una gestione del fenomeno certamente più sicura. Dal punto di vista del Partito Comunista Cinese, i dati economici che il paese ha assicurato, con questo sistema di governo, restano inconfutabili: la Cina ha compiuto passi da gigante, diventando la seconda economia mondiale, proprio grazie all’assenza di diritti nel settore del lavoro, riuscendo a coniugare in maniera eccellente i peggiori lati del capitalismo e del comunismo. Il prezzo pagato in termini di repressione, metodi di produzione brutali ed inquinamento, con i conseguenti costi sociali, negati ma ingenti, è risultato altissimo, tanto da sviluppare diversi movimenti di opinione, spesso repressi, ma che hanno incrinato anche l’insieme granitico del partito comunista, obbligando i burocrati cinesi ad assumere atteggiamenti di maggiore attenzione verso le istanze della società civile. Quanto queste preoccupazioni siano sincere è una domanda che è lecito porsi, perché la vera ragione di questi intendimenti potrebbe essere proprio il timore di una diffusione del malcontento sociale, che, anche senza azioni eclatanti, andrebbe ad inficiare la programmazione economica prevista per la Cina. Pechino deve affrontare una riduzione della crescita di circa lo 0,5%, passando dal 7,55 del 2014 al 7% previsto per il 2015. Si tratta di volumi che qualsiasi ministro delle finanza occidentale firmerebbe subito, ma che per la Cina rappresentano comunque un dato di contrazione, che deve essere proiettato in un ambito sociale e territoriale enorme. Il paese paga ancora una volta lo scarso apporto della domanda interna, effetto diretto della presenza di profonde diseguaglianze nel paese, sia su base geografica, che nel tessuto della società. Si tratta dell’effetto diretto dell’applicazione del capitalismo selvaggio, che ha come controindicazioni, la grande corruzione, che costituisce un costo economico enorme per il paese ed il pesante sfruttamento delle masse lavoratrici. Siamo, evidentemente, in presenza di un ossimoro, in un contesto che si definisce comunista, anche se, ormai questa definizione deve essere cambiata secondo i parametri di come questo credo politico viene applicato in Cina. Il piano per governare la fase attuale, definita come quella della riforma globale, si basa su quattro punti essenziali: la costruzione di una società moderatamente prospera, che implicitamente significa una maggiore distribuzione di ricchezza (senza esagerare) per sollevare la domanda interna e mediante questo fattore soffocare in modo bonario le contrarietà presenti, l’accelerazione del cambio economico, che è una diretta conseguenza del primo punto, migliorare lo stato di diritto, senza però separare i poteri e rafforzare la disciplina del Partito comunista, che deve restare il perno centrale del paese. Una linea completamente opposta da quella delle democrazie occidentali, dove vengono individuati come punti di debolezza le libertà individuali, i sistemi multipartitici e la separazione dei poteri. Nel discorso del premier cinese, davanti ai tremila delegati dell’assemblea, vi sono stati espliciti riconoscimenti dei motivi che concorrono all’instabilità sociale e che dovranno essere corretti mediante un aumento delle voci nel bilancio. Il sistema di sicurezza sociale, che comprende la sanità, l’assistenza agli anziani, il problema degli alloggi, i trasporti, l’istruzione, l’ordine pubblico e l’inquinamento, sono fattori ritenuti fondamentali per assicurare la stabilità sociale e l’ammissione di una disattenzione del potere centrale verso questi temi, costituisce un elemento di novità importante nell’evoluzione della Cina, che precedentemente avrebbe negato i problemi ed attuato esclusivamente tecniche repressive per risolvere le contestazioni. Il segnale è che anche all’interno del partito comunista cinese si sta sviluppando una sensibilità, non si sa se sincera o obbligata dalla situazione ormai troppo deteriorata, verso i temi sociali, fino ad ora sacrificati in nome della produttività. Non è ancora molto, perché queste istanze dovrebbero essere risolte quasi automaticamente, data anche la grande disponibilità finanziaria del paese, ma, pur restando in un contesto fortemente autoritario, denotano come il potere centrale non possa più derogare dalle legittime richieste dei cittadini cinesi.
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