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giovedì 12 marzo 2015

La Siria di Assad favorita dalla lotta allo Stato islamico

Oscurata dalla guerra contro la Stato islamico, la situazione siriana, dove il conflitto è in corso da quattro anni, è stata messa in secondo piano da eventi di cui è pienamente parte. L’evoluzione della situazione ha finito per favorire la permanenza al potere di Assad, anche a causa della sua abilità a gestire ed indirizzare i conflitti interni alle diverse parti che componevano l’opposizione alla sua dittatura. Attualmente, secondo alcuni importanti analisti, Assad da problema si è trasformato in potenziale parte della possibile soluzione del conflitto; infatti soggetti internazionali importanti come gli USA e la Unione Europea, non prevedono nei loro scenari, la partenza dal paese siriano del dittatore di Damasco. Questo miglioramento della sua posizione nello scenario internazionale è dovuto alla maggiore urgenza di debellare il califfato ed alla presa d’atto del ruolo di pacificazione che Assad può rivestire in un processo di pace. La stessa opposizione laica in esilio, avrebbe tolto la condizione essenziale di una sua partenza dalla Siria, per l’inizio di negoziati di pace. In questa implicita ammissione dell’inadeguatezza da parte della maggior parte della società siriana, di sapere gestire un passaggio pacifico verso una evoluzione pacifica all’occidentale, si riassume tutto il fallimento delle aspettative riposte nelle primavere arabe, virate, poi, in regimi altrettanto autoritari ma di matrice religiosa. Si tratta di un insegnamento profondo per l’occidente, che, pur mosso da ottime intenzioni, non ha saputo procedere per gradi nella valutazione e nel favorire la caduta delle dittature, che hanno favorito enormi vuoti di potere, colmati dall’estremismo islamico.  Nonostante l’opposizione ferrea ad uno scenario con Assad, da parte di Francia, Gran Bretagna e Danimarca, nell’opinione della diplomazia occidentale si sta configurando una nuova idea, che possa favorire, come elemento di pacificazione, una possibile presidenza da parte di Assad, di una coalizione di unità nazionale in grado di gestire pacificamente un passaggio ad una forma democratica di governo. Questa asserzione, che pare una contraddizione in termini, ha fondamento nel fatto che Damasco si colloca fermamente nel campo anti jihadista e, proprio per questa posizione,può  rappresentare un alleato, seppure scomodo, importante nel conseguimento attualmente dell’obiettivo  più urgente di determinare la sconfitta dello Stato islamico. Anche gli USA , che continuano a mantenere le distanze da Assad, ritenendolo privo di ogni legittimità per governar la Siria, lo hanno retrocesso a problema secondario, rispetto alla lotta al califfato. Assad ricopre quindi, malgrado l’opposizione delle monarchie del Golfo e della Turchia, e seppure in maniera informale, un ruolo importante di interlocutore sul campo nella lotta allo Stato islamico, grazie al controllo del 40% del territorio siriano e del 60% della popolazione ancora presente nel paese. Aldilà della situazione favorevole ma congiunturale , di cui ora sta godendo Damasco, Assad continua ad avere come alleati fedeli la Russia, l’Iran ed il gruppo di Hezbollah in Libano. Soprattutto l’appoggio incondizionato di Teheran, che sta avanzando in modo massiccio in Iraq, determina per la Siria una situazione che le permette di avere uno stato non troppo isolato nelle relazioni internazionali, specialmente se inquadrate nel crescente peso che l’Iran sta ricoprendo sul terreno della lotta al califfato sunnita. Vi è però un fattore importante che Assad non deve sottovalutare:  gli aiuti economici più consistenti al suo regime provengono proprio da Mosca e da Teheran, capitali di stati alle prese con grosse difficoltà sia finanziarie che economiche, che pur mantenendo tutto l’appoggio diplomatico possibile, potrebbero ridurre le sovvenzioni a Damasco, provocando seri problemi al regime. Per questa ragione si ritiene che Assad dovrà decidersi in fretta a non esercitare più il ruolo solitario di dittatore del paese e dovrà valutare attentamente la possibilità di aprire una fase di negoziati con l’opposizione politica di matrice laica e democratica, anche perché nella fase delle prossime elezioni presidenziali americane, da Washington potrebbe non esserci più l’attuale flessibilità verso la sua posizione.

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