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giovedì 26 marzo 2015
L'Arabia Saudita bombarda i ribelli sciiti dello Yemen
Una manovra militare, da parte delle forze aeree dell'Arabia Saudita ha bombardato le roccaforti dei ribelli sciiti nello Yemen. La decisione è stata presa per bloccare l’avanzata sciita su richiesta del presidente yemenita. Della coalizione fanno parte politicamente, oltre all’Arabia Saudita, anche gli Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Qatar, Kuwait a cui dovrebbero affiancarsi Egitto e Stati Uniti, attraverso supporto logistico e di intelligence. A giustificazione dell’operazione si è parlato di una manovra necessaria per respingere, oltre ai ribelli sciiti, anche Al Qaida e lo Stato islamico, che potevano approfittare della situazione. In realtà il vero obiettivo era tutelare il governo legittimo ed impedire che gli sciiti potessero prendere il potere nell’intero paese, che confina con l’Arabia Saudita. Riyadh ha più volte espresso il timore di avere un alleato molto stretto con l’Iran ai confini ed ha infine deciso per l’azione bellica. Questa preoccupazione è stata condivisa dagli altri paesi del Golfo Persico e dall’Egitto, che temono l’alterazione delle rispettive zone di influenza religiosa tra sunniti e sciiti; a questo timore si è dovuta arrendere anche Washington, per non incrinare maggiormente i rapporti con gli alleati sunniti, in un pericoloso equilibrismo, che potrà portare qualche problema nei rapporti con l’Iran. Resta da vedere come reagirà Teheran, che ha appoggiato i ribelli sciiti nello Yemen, con l’intento di aumentare la propria zona di influenza, ma sconfinando in modo rischioso ed arrivando troppo vicino ai sauditi. Sul piano internazionale la manovra dell’Arabia può essere giustificata dalla richiesta di aiuto del presidente yemenita e dal timore di situazioni pericolose troppo vicine al proprio territorio, una sorta di protezione preventiva. In effetti la stabilità regionale risultava molto vicino ad essere compromessa, ma l’azione araba potrebbe sortire effetti peggiorativi sul lungo periodo; infatti se sul breve periodo la situazione dovrebbe ristabilire il governo legittimo, ma i portavoce degli sciiti hanno già parlato di una dichiarazione di guerra. Questo frangente dimostra come la probabilità maggiore del futuro del paese yemenita, sia di uno scenario di forte instabilità. Appare infatti molto improbabile che Teheran sarà soltanto uno spettatore. In questi casi l’Iran, si pensi alla Siria ed all’Iraq, è abituato a schierare sul terreno propri uomini senza insegne ufficiali, per dare aiuto alle popolazioni sciite coinvolte in atti di guerra. Se si arrivasse ad un impiego di effettivi iraniani sul territorio yemenita, si potrebbe assistere a combattimenti con soldati di eserciti dei paesi del Golfo, che si sono già detti disponibili a d intervenire sul terreno, con conseguenze militari e diplomatiche di difficile risoluzione. In questa fase gli americani si sono impegnati a fianco dei paesi sunniti, probabilmente in base al principio di non volere alterare le rispettive zone di influenza su base religiosa, argomento che si presenta sempre molto delicato quando vi è un confronto tra Iran ed Arabia Saudita. Ma nella fase immediatamente successiva Washington deve mettere in campo tutta la propria forza diplomatica per impedire una degenerazione di questo conflitto locale, anche attraverso la tutela delle minoranze sciite nei territori sunniti, questo sia nel caso particolare dello Yemen ed in tutti gli stati dove questa tutela è assente. Si tratterebbe così di prevenire altri confronti con l’Iran e non fornirgli una possibilità di intervento, anche solo a livello diplomatico. Questo scenario, al momento è solo una speranza, la situazione appare compromessa, anche per il forte risentimento delle monarchie del Golfo delle trattative per il nucleare iraniano, che resta un obiettivo fondamentale per la politica estera americana: per la Casa Bianca un caso difficile da districare.
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