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martedì 24 marzo 2015

Le associazioni civili siriane chiedono un aiuto concreto al mondo per fermare il conflitto

La guerra siriana continua provocando molte vittime e disagi pesanti per la popolazione, alla prese con esodi di massa per chi fugge e situazioni sanitarie ed alimentari molto gravi, oltre che di sicurezza, per chi resta. Ottantacinque associazioni della società civile, di quel che resta della società civile, hanno chiesto aiuto ufficialmente alla comunità internazionale, denunciando l’abbandono della popolazione siriana, trascurata dalla maggiore attenzione dedicata alla lotta contro il califfato ed il terrorismo arabo internazionale. In realtà le due cose sono intimamente legate, anche se è vero, che il popolo siriano, a causa delle diverse visioni delle grandi potenze, è finito schiacciato in una logica che ha messo davanti a tutto l’interesse strategico singolo di ogni stato direttamente o indirettamente coinvolto. Dopo quattro anni la guerra siriana, continua ed è proprio questo il dato più significativo, che denota l’incapacità delle grandi potenze di trovare un accordo, in grado, almeno, di iniziare una trattativa di pace, fattore che deve essere accostato al fallimento ripetuto dei tentativi dell’ONU di fermare il conflitto. L’inadeguatezza delle Nazioni Unite, in questo caso, rappresenta l’esempio più lampante delle necessità di riformare quella istituzione che dovrebbe risolvere, in maniera urgente i conflitti, per alleviare e proteggere le condizioni minime di sopravvivenza delle popolazioni civili coinvolte. La responsabilità più grande è senz’altro quella degli Stati Uniti, che hanno avuto un atteggiamento pavido, non soltanto dal punto di vista militare, ma anche politico, per non urtare altri soggetti internazionali coinvolti, come l’Iran e l’Arabia Saudita, che erano funzionali agli interessi di Washington. Addossare agli USA la responsabilità maggiore, se da un lato è corretto, per la loro volontà di essere la più grande potenza mondiale, da un’altra ottica risulta un’analisi superficiale, perché non tiene conto delle responsabilità russe e cinesi. Se si vuole o se si ambisce a ricoprire una posizione di importanza mondiale, non si può sempre trincerarsi dietro la dottrina della non ingerenza degli affari interni di uno stato. Quello che manca è una visione completa della necessità della protezione della popolazione, che non viene nemmeno sacrificata per i propri interessi: semplicemente vi è un totale disinteresse della sua sorte, considerandola come una componente secondaria su cui si riflettono le conseguenze dei conflitti. In questa panoramica chi ne esce peggio è forse l’Unione Europea, alle prese sempre solo con il rispetto dei vincoli di bilancio, oltre i quali la visione generale si appanna ed impedisce di diventare, non si dice una grande potenza, ma almeno di esercitare una piccola influenza politica capace di contribuire, anche in piccola parte, a trovare una qualche soluzione, anche temporanea. Le associazioni siriane chiedono, invece passi concreti, che propongono loro stesse, togliendo anche la fatica al mondo su come muoversi. Il primo problema, il più urgente è quello di fermare i bombardamenti che Assad compie in maniera indiscriminata con barili di esplosivo. La pratica compiuta dal dittatore oltre che essere odiosa e protratta nel tempo, viene individuata dalle associazioni siriane come una causa dell’incremento dell’estremismo, che favorisce l’arruolamento nelle fila del califfato dei giovani siriani. Si tratta di una reazione, una risposta che ammette solo la violenza alla violenza. Successivo allo stop dei bombardamenti è necessaria l’apertura di trattative tra tutti i gruppi coinvolti nella guerra siriana. Si tratta di una proposta di buon senso, ma la cui realizzazione diventa sempre più difficile con l’inasprirsi del conflitto e per la presenza obbligata di Assad, o di suoi rappresentanti al tavolo delle trattative. Questo fattore è ormai ritenuto indispensabile anche dagli stessi Stati Uniti, che hanno scelto il male minore, nel quadro della lotta al califfato, individuando il dittatore di Damasco un argine all’avanzata dello Stato islamico, e, di fatto, quindi, rinviando ogni decisione sul suo futuro. Peraltro questa decisione dovrà essere frutto di un difficile negoziato con gli alleati di Damasco: Iran e Russia. La percezione è che non venga capita l’urgenza di fermare la guerra siriana proprio all’interno della lotta al califfato, individuandola come elemento pacificatore di partenza, complementare all’intervento militare. Se dovesse passare questa visione potrebbero crearsi i presupposti per uno stop alla violenza almeno nelle zone controllate ancora da Damasco ed in quelle dove vi è il predominio dell’opposizione laica, in modo di creare un’area adibita agli interventi umanitari, protetta anche da forze internazionali, capace di accogliere i profughi provenienti dalle zone controllate dallo Stato islamico. 

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