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Politica Internazionale
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venerdì 20 marzo 2015
Senza democrazia l'Unione Europea è destinata a dissolversi
Risulta evidente che nella pressione a cui l'Unione Europea sottopone la Grecia, manca ogni rispetto della democrazia e della volontà espressa dal popolo greco. Se, da un lato, l’atteggiamento tedesco può essere comprensibile, quale esercizio pratico del potere da parte del componente più forte, e quindi da cui discende l’indirizzo intrapreso, di conseguenza da Bruxelles, meno chiaro è quello degli altri stati, che si sono piegati per una ragione o per l’altra ai voleri di Berlino. Per la Germania la propria leadership indiscussa, che fa dei cittadini degli altri paesi europei quasi dei sudditi dei tedeschi, deve continuamente essere imposta con misure dure e rigide: questo atteggiamento, certamente non condivisibile, rientra nella logica di quell’alleanza sbilanciata che è diventata l’Unione Europea. Certamente meno logica è l’accettazione praticamente incondizionata degli altri partner europei, che dalla lezione greca potevano trarre occasione per fare fronte comune, contro gli indirizzi decisi da Berlino, principalmente per la propria convenienza economica e quindi politica. Una ragione potrebbe essere la volontà, meramente finanziaria, di recuperare le somme prestate ad Atene, in tempi più o meno brevi. Si tratterebbe, però, ancora una volta di una visione a breve termine, pienamente in contrasto con la necessità di programmare sul lungo periodo, proprio per evitare gli errori che ci hanno portato alla crisi. Un’altra ragione, da ascrivere ai paesi che sono o stanno uscendo dalla crisi, come Portogallo ed Irlanda, tra gli altri, di non volere vedere favorita la Grecia, rispetto al trattamento riservato a loro. Siamo di fronte ad una miopia che impedisce di invertire la tendenza di trattare i casi difficoltosi con la dovuta mutualità e solidarietà su cui doveva basarsi l’istituzione europea. Il problema di fondo è che si guarda alla soluzione di questi casi come alla punizione di stati intesi come corpi unici, dove tutti sono responsabili di cattive scelte di governo, ma risulta evidente che questa visione è troppo semplicistica e vuole soltanto facilitare l’analisi di chi deve decidere le sanzioni, senza tenere conto dei disagi a cui sono sottoposti cittadini, vere vittime dei rigori di Bruxelles, che scontano due volte la cattiva amministrazione dei loro rappresentanti: prima con gli effetti diretti di provvedimenti errati all’interno del loro stato, poi con quelli indiretti, che provengono da Bruxelles come sanzione di quelli precedenti. Vi è, quindi, una contraddizione in termini della giustizia sociale e della democrazia, su cui l’Unione Europea dovrebbe basarsi per prendere qualsiasi decisione. Gli organi centrali europei dovrebbero, piuttosto vigilare prima, anziché sanzionare poi, ma questo modus operandi non è ancora stato corretto e proprio da qui trae vantaggio chi riesce ad imporsi soltanto in virtù di valori economici migliori. La necessità di una unione politica non è tanto per creare finalmente un soggetto internazionale forte, cosa comunque non secondaria, ma per arginare comportamenti che non sono stati definiti da provvedimenti legislativi e che si sviluppano soltanto con la forza dell’economia. Quello che deve essere favorito è un approccio alla risoluzione dei problemi che non sia percepito come frutto di decisioni quasi oligarchiche, ma che possa discendere da processi democratici ben definiti, nei quali il cittadino possa essere parte determinante. Si ritorna così alla Grecia: gli elettori hanno espresso una chiara volontà su come il governo ellenico deve comportarsi, per contro si può ragionevolmente dire che quelli tedeschi dovrebbero appoggiare il comportamento dei loro dirigenti, le due posizioni sono all’opposto e non sono da considerare antagonismi politici, quanto nazionali, cioè determinati in base al paese di provenienza; la risoluzione del contrasto dovrebbe essere una sintesi capace di determinare un accordo, che non sia espressione del più forte ma tenga conto delle esigenze del più debole. In questo momento si può tranquillamente dire che questa opzione nell’Unione Europea, considerata patria della democrazia, per alcuni esempio da seguire, non è contemplata. Del resto il caso greco è soltanto quello più attuale: nel recente passato si è imposto leggi ai parlamenti italiano, portoghese e di altri paesi, i cui cittadini hanno visto interrotto il loro volere democraticamente espresso. A Roma si sono insediati tre governi, tra cui quello attuale, che non sono mai stati eletti dal corpo elettorale, per la volontà imposta dall’Unione Europea. Questa situazione non è più sostenibile, senza contrappesi che possano bilanciare il potere finanziario ed economico l’Unione Europea risulta stravolta e facile mira delle critiche anti europeiste, se non si vuole andare verso una rapida dissoluzione dell’istituzione di Bruxelles è meglio correre subito ai ripari.
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