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giovedì 9 aprile 2015

Gli USA contrari ad un intervento iraniano nello Yemen

Archiviato, per ora, il trattato preliminare sul nucleare iraniano, Washington torna a concentrarsi sui suoi alleati arabi del Golfo ed, indirettamente, su Israele. L’occasione è data dalla situazione nello Yemen, dove gli Stati Uniti si sono schierati contro l’Iran, che aveva mandato navi militari per appoggiare la rivolta sciita, con la scusa di eseguire manovre antipirateria nello stretto di Aden. L’avvertimento della Casa Bianca è incentrato sulla questione della stabilità regionale e contro l’intenzione di Teheran di sovvertire gli attuali equilibri, gli Stati Uniti non cercano il confronto con l’Iran, ma hanno sottolineato che collaboreranno con gli abituali alleati se questi saranno minacciati da azioni destinate a metterne in pericolo l’integrità. Si tratta di una sorta di atto dovuto, che mira a ristabilire su relazioni più tranquille i legami con i paesi del Golfo ed in generale con gli arabi sunniti, come l’Arabia Saudita e l’Egitto, che restano fortemente contrari alla soluzione sul nucleare concordata con Teheran. Se si possono capire le ragioni pratiche di questa presa di posizione, sia, appunto, giustificate dal mantenimento di relazioni bilaterali, sia dalla necessità di volere impedire un allargamento della zona di influenza dell’Iran, che potrebbe avere conseguenze pericolose sul piano della stabilità regionale, dall’altra parte non si comprende come gli USA non vogliano intervenire, in modo diplomatico, su nazioni colpevoli di avere finanziato movimenti integralisti confluiti poi nello Stato islamico. Il dilemma americano è certamente di difficile soluzione, perché ha a che fare con una zona ritornata centrale per la sua strategicità, ma che nelle intenzioni di Obama, doveva diventare di secondo piano a favore di una maggiore attenzione da dedicare al sud-est asiatico, ritenuto fondamentale per lo sviluppo economico ed il  contrasto all’avanzata della Cina. Il Presidente statunitense è stato troppo precipitoso a chiudere la questione irakena, lasciando uno stato privo delle adeguate strutture istituzionali ed ancora ostaggio di violente divisioni religiose, le stesse che ora stanno alimentando, su di un piano più vasto la guerra che sta attraversando l’Iraq, la Siria e lo stesso Yemen. Gli USA hanno degli obblighi con le monarchie del Golfo, che non sono certo alleati presentabili dal punto di vista dell’applicazione dei diritti umani, come non lo è l’Egitto ed anche l’Iran; tuttavia questi sono gli attori regionali con cui avere delle relazioni obbligate. In questo momento per gli USA è fondamentale mantenere i rapporti antecedenti all’avvicinamento con l’Iran, cercando di mantenere più possibile gli assetti di potere presenti. Da un lato i paesi arabi sunniti, malgrado tutto, presentano ancora garanzie importanti nel quadro della lotta al califfato ed all’estremismo in generale, dall’altro le relazioni con l’Iran, pur essendosi notevolmente distese, non si sono ancora normalizzate in modo completo e le mosse di Teheran vengono monitorate continuamente; pur essendo vero che l’appoggio militare iraniano sul terreno è stato e sarà fondamentale contro lo Stato islamico, la volontà di crescere da parte dell’Iran, come potenza regionale, desta qualche preoccupazione, a Washington, che crea problemi all’esecutivo statunitense, sia sul piano interno, con i repubblicani che detengono l a maggioranza in entrambi i rami del parlamento, sia su quello internazionale, con i continui richiami dagli storici alleati sunniti. Nonostante questo quadro la minaccia americana verso l’Iran, pur ferma nei termini, è parsa più che altro un atto di prassi, tanto è vero che è avvenuta dopo la conclusione dei negoziati di Losanna. Ma per gli USA scenari di questo tipo sono destinati a ripetersi se la contrapposizione con Teheran sarà destinata ad attenuarsi, Washington, cioè, è di fronte ad una situazione a geometrie estremamente variabili sul piano internazionale ed il primo caso destinato a creare profondi contrasti, molto più che per lo Yemen,  verrà quando si deciderà di affrontare seriamente la crisi siriana ed il destino di Assad: a quel punto la casa Bianca dovrà fare uno sforzo notevole sul piano diplomatico, per conciliare le varie forze in campo, tra cui la Russia, con la quale occorre sempre trovare un punto di contatto e di equilibrio. Damasco non è sacrificabile per Teheran, mentre le monarchie del Golfo e l’Egitto spingono per un governo sunnita moderato, ma la forza a disposizione di Assad potrebbe farlo diventare determinate per contenere lo Stato islamico. A proposito di ciò Washington potrebbe trarre vantaggio indiretto dal recente incontro tra la Turchia e l’Iran, nella speranza di una qualche forma di distensione tra i due rami della religione islamica. 

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