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mercoledì 22 aprile 2015

I talebani afghani annunciano l'offensiva di primavera

I talebani afghani annunciano la offensiva di primavera, l'operazione militare che, grazie alle migliori condizioni climatiche, i terroristi islamici lanciano ogni anno contro i diplomatici stranieri e, soprattutto, i soldati di forze estere ancora presenti sul territorio di Kabul. I talebani hanno emanato un vero e proprio comunicato dove annunciano di avere come obiettivo le basi militari e le strutture di intelligence stranieri, ma non solo, anche le strutture del potere politico del paese e le sue forze armate saranno oggetto di attacchi, per contrastare il processo di normalizzazione del paese in uno stato libero dall’influenza islamista. La volontà talebana è quella di non fare vittime tra i civili, proclamando, per i propri combattenti che violeranno questo intendimento, l’applicazione della sharia. Al momento nel paese afghano sono rimasti circa 12.500 uomini dell’Alleanza Atlantica, di cui oltre 9.000 statunitensi, che ricoprono, per lo più, il ruolo di formatori delle forze armate e di polizia locali. Quest’anno, quindi, saranno le forze regolari di Kabul ad essere schierate in prima linea contro i talebani, senza avere più il supporto diretto delle forze straniere. Sul livello di preparazione dell’esercito afghano esistono ancora dubbi, specialmente sulla capacità di contenere militarmente le incursioni dei talebani provenienti dalle valli al confine o anche entro i territori del Pakistan, che costituiscono i rifugi e le basi operative degli integralisti. Anche dal lato della prevenzione degli attentati, il compito non sarà agevole, senza una collaborazione, si a sul terreno che tecnologica, degli americani, che, tuttavia non dovrebbe mancare. Recentemente Kabul è stata teatro di un attentato suicida dove hanno trovato la morte ben 34 civili. I talebani hanno smentito categoricamente di essere gli autori del grave episodio, rivendicato, invece, dallo Stato islamico. Secondo alcuni analisti la presenza del califfato in Afghanistan viene data come poco probabile, perché i talebani locali non presentano caratteristiche tali da giustificare una alleanza con una organizzazione totalitaria come lo Stato islamico e non hanno neppure il bisogno, sul piano interno ed internazionale, di accreditarsi come affiliati al califfato, come è accaduto per altre organizzazioni, come ad esempio è stato il caso di Boko Haram. Più probabile che l’attentato sia stato compiuto da gruppi di talebani provenienti dal Pakistan, entrati in dissidio con quelli dell’Afghanistan. Nel territorio pachistano agirebbero gruppi integralisti, che avrebbero richiesto l’affiliazione allo Stato islamico ed avrebbero così eseguito l’attentato per dare prova delle loro intenzioni. Se questa ipotesi è veritiera per l’Afghanistan potrebbe delinearsi così una duplice minaccia terroristica: quella dei talebani interni e quella dei gruppi provenienti dal Pakistan, mettendo a dura prova la capacità di sopravvivenza delle istituzioni democratiche. Per contenere questo scenario l’attuale presidente afghano Ashraf Ghani, è impegnato a cercare di convincere le tribù locali e gli stessi talebani ad intraprendere un nuovo percorso di pace, mai avviato con il precedente presidente per la condizione vincolante inserita dai negoziatori dei combattenti islamici: il completo ritiro delle truppe straniere dal paese. Secondo gli accordi in essere con l’Alleanza Atlantica il completo ritiro dovrebbe avvenire entro il 2016, ma la già consistente riduzione attuale potrebbe costituire un elemento di avvicinamento per l’apertura dei negoziati, anche se le fazioni più intransigenti non contemplano la sola riduzione delle truppe straniere come una condizione sufficiente per tornar al tavolo delle trattative. Si apre così un periodo di grande incertezza per il paese afghano destinato a subire la pressione dei combattenti talebani, mentre le istituzioni non si sono ancora del tutto radicate nel tessuto sociale del paese.

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