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giovedì 30 aprile 2015
Il governo militare egiziano cerca la legittimazione in Europa
La visita in Spagna del presidente egiziano Al Sisi, preceduta da diversi contatti con altri premier europei, tra cui l’italiano Renzi ed il greco Tsipras, rientra in una strategia pensata da Il Cairo, per accreditare il paese egiziano in Europa e, soprattutto, nella parte che si affaccia sul Mediterraneo. La necessità di essere riconosciuto a livello internazionale è fondamentale nell’ottica del proseguimento di un governo, che ha soppiantato quello precedente: il primo democraticamente eletto nella storia egiziana; è pur vero che i vincitori delle elezioni hanno poi abusato del potere conquistato nelle urne, cercando di imporre una visione troppo confessionale e non lasciando spazio alcuno all’opposizione. Ma la caduta dell’esecutivo sostenuto dalla fratellanza islamica è avvenuta, comunque, attraverso un colpo di stato particolarmente cruento, sconfessato anche dalle forze democratiche e laiche, che erano state emarginate da Mursi. Questa presa del potere accompagnata da violenze e repressioni ha avuto l’obiettivo di sconfiggere la parte più radicale delle formazioni politiche che si richiamavano all’islamismo, ma, che, insieme era anche le più radicata in un tessuto sociale privato dalla dittatura di Mubarak di ogni punto di riferimento. Questa introduzione in profondità nella società egiziana è stata quella che ha determinato la vittoria elettorale, ma che ha, di conseguenza, anche richiesto il lavoro maggiore da parte dei militari nello sradicamento e nella repressione. Se la salita al potere di Al Sisi è stata accolta con sollievo in modo ufficioso dalle democrazie occidentali, in quello ufficiale i metodi, per la verità molto brutali, sono stati condannati, seppure blandamente. Gli stessi Stati Uniti, avevano sospeso le sostanziose forniture di armi all’esercito egiziano, che servivano nel quadro di protezione di Israele. In realtà, seppure affievoliti, i rapporti con l’Egitto di Al Sisi sono sempre continuati, tuttavia, per il regime egiziano la destabilizzazione della Libia e l’arrivo sul suo territorio di formazioni legate allo Stato islamico ha certificato l’importanza, come alleato, del paese egiziano nella lotta all’estremismo islamico. L’impegno in prima persona delle forze armate egiziane, contro gli uomini del califfato e la forte presa di posizione contro gli integralisti ha, sostanzialmente, riabilitato il regime egiziano di fronte all’occidente, tanto che Washington ha ripreso la fornitura di armi. La situazione interna dell’Egitto è però lontana da essere normalizzata: le promesse elezioni politiche, che pure dovrebbero vedere vincente la formazione dell’attuale presidente per mancanza di avversari, nono sono ancora state fissate, nonostante fossero state fissate già per la scorsa estate. Il paese, inoltre, sembra essere ricaduto in una spirale di corruzione molto intensa e l’uso della tortura, da parte delle forze di polizia, sembra essere tornato ai livelli antecedenti il 2011. Malgrado ciò il governo, una emanazione delle forze armate, gode anche dell’appoggio di una parte della società del paese: quella che ritiene l’esercito sia un buon compromesso per la stabilità interna e, soprattutto, abbia scongiurato la islamizzazione estrema del paese, nonostante i metodi usati e la mancanza sostanziale di democrazia. In sostanza il governo in carica appare di orientamento moderato e tanto basta, tuttavia, il processo di normalizzazione della società continua incessante, con provvedimenti che limitano l’uso dei social network, fondamentali per la riuscita della primavera araba, la lotta all’omosessualità ed all’ateismo. Su quest’ultima materia gli scopi del governo sono duplici, favorire una religiosità moderata, che possa consentire un maggiore controllo ed un pieno accordo con il clero moderato e limitare l’influenza delle forze politiche laiche che rifiutano l’ingerenza confessionale. Sul piano internazionale il ruolo svolto dall’Egitto ricalca, in parte la funzione esercitata da Mubarak a protezione di Israele dal lato sud dei suoi confini, cosa che Mursi non assicurava, mentre vi è un certo attivismo sul fronte del mondo sunnita, che vede Il Cairo alleato di Arabia Saudita e delle altre monarchie del Golfo nel quadro del confronto religioso contro gli sciiti. Se, dal punto di vista internazionale l’Egitto è obbligato proprio dalla sua non limpida situazione interna a cercare una legittimazione, da quello economico, la situazione del paese è di crisi, appare naturale la ricerca di relazioni proficue con i paesi più vicini e più ricchi. Il bacino del Mediterraneo è la naturale area dove cercare di intessere relazioni che possano permettere di sviluppare una cooperazione preferibilmente stabile. Per gli stati europei si tratta di una sorta di ritorno al passato, nonostante gli integralisti non fossero meglio, stabilire relazioni con Al Sisi è praticamente identico a prima, quando erano con Mubarak, ma le necessità vengono prima dei diritti civili, come insegna il caso libico.
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