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Politica Internazionale
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venerdì 3 aprile 2015
Le persecuzioni cristiane: problema per l'occidente
La strage dei cristiani in Kenya, unita alle statistiche, che fanno dei seguaci del cristianesimo, i più perseguitati del mondo, impongono una seria riflessione sulle cause, soprattutto politiche, che hanno determinato questa situazione. L’identificazione con i crociati ed anche con Roma, come capitale della cristianità, divenuta simbolo da violare conquistare, non può essere analizzata soltanto sulla base di una banale contrapposizione tra islam e cristianesimo. Esistono, certo delle visioni che si basano su questa contrapposizione e spesso sono quelle anche meno rispettose delle correnti differenti all’interno dello stesso islamismo, ma questo radicalismo non nasce da una competizione sul primato religioso o sull’autenticità dei dogmi, che pure fanno parte dei principali motivi di contrapposizione teologica. Il problema maggiore deve essere inquadrato su motivi di carattere politico ed anche economico. Il cristianesimo viene identificato come lo strumento del potere occidentale, soprattutto dalle formazioni e dai governi più integralisti, ma troppo spesso anche dalle parti della società islamica più moderate. Uno dei responsabili maggiori in questo stato di cose è stato imporre, proprio da parte dell’occidente, il fenomeno della globalizzazione a livello mondiale, con gli stessi modi e tempi in territori profondamente differenti. Il tentativo di omologazione, conveniente al mondo della finanza e dell’industria, non poteva essere recepito in modo uniforme in culture con diverso tasso di sviluppo e differente attaccamento alle tradizioni locali. A questo deve essere aggiunta la gestione carente e miope delle primavere arabe, così come del tentativo di esportazione della democrazia, risultato fallimentare. In sostanza si è preteso che popoli e nazioni lontani dagli usi occidentali dei processi democratici e governati da regimi assolutistici, passassero da un giorno all’altro, senza un processo graduale a diventare cittadini consapevoli di diritti, che proprio nell’occidente sono stati conquistati in modo consapevole a prezzo di grandi sacrifici ed in tempi considerevolmente lunghi. Si è applicato, cioè, il metodo della diffusione delle merci a quello dei diritti politici, equiparando prodotti finiti ad idee, la cui elaborazione ha richiesto una maturazione della società civile lunga e laboriosa. Ciò è stato vissuto come una invasione nella sfera delle tradizioni: un goffo tentativo di limitare il peso e l’importanza delle tradizioni in società spesso ancora chiuse nel recinto tribale. A farne le spese è stata la religione cristiana, vissuta come elemento di invasione e di rottura del monopolio della religione islamica, nonostante la presenza, in alcuni casi e territori, ormai anche secolare. Da questa visione, favorita dalla incessante propaganda, unita a pesanti finanziamenti dei paesi con orientamento politico fortemente confessionale, si è sviluppata una avversione verso i culti percepiti come estranei alle consuetudini territoriali. La lettura rigida del Corano e della sua applicazione in legge materiale ha causato, per i cristiani, il fatto di diventare oggetto principale delle persecuzioni, che hanno l’intento di liberare i territori da quella che è considerata una presenza inconcepibile per le idee intolleranti degli estremisti. Per l’occidente si pongono due problemi essenziali. Il primo è quale sistema di risposte fornire al di fuori dei propri confini, considerando la assoluta mancanza di reciprocità di trattamento, anche nei paesi che politicamente sono considerati alleati, si pensi all’Arabia Saudita, che oltre a negare la libertà religiosa, in un discorso più ampio, non garantisce alcun diritto civile. Alcuni di questi stati sono considerati partner importanti ed addirittura essenziali per lo scacchiere geopolitico e per la strategia occidentale, ed in conseguenza di questo fatto si tralasciano le forme di pressione per il rispetto dei diritti, che vengono riservate, anche come forma di pressione, a nazioni considerate avverse. Ma in un quadro contraddistinto da una visione più ampia, non si può non considerare la persecuzione al cristianesimo come atto di guerra proprio ai valori occidentali; questa riflessione impone un diverso atteggiamento, anche a prezzo di scontri con paesi alleati: richiedere il rispetto delle garanzie civili dovrebbe diventare la base per intraprendere relazioni bilaterali con nazioni dove queste mancano al loro interno. Il secondo problema è come porsi in relazione con gli aderenti alla religione islamica, all’interno dei territori delle nazioni occidentali. Questo aspetto comprende sia le organizzazioni più moderate che fenomeni inquietanti come i combattenti andati ad ingrossare le fila di gruppi come lo Stato islamico. Nel mezzo vi è il problema dell’accoglienza dei profughi, sui quali diventa inevitabile operare indagini approfondite per evitare fenomeni di intrusione da parte di terroristi. Il problema , nel suo insieme è complesso, perché comprende il mantenimento dei diritti, ma anche l’esigenza di tutelarsi da aspetti sempre più invasivi e, nelle relazioni internazionali, uno sforzo che non sembra attualmente affrontabile, in un’epoca di grandi squilibri ed instabilità. Il concreto pericolo è che salga l’ostilità nei paesi occidentali verso l’islamismo con comportamenti analoghi e fuori dalla legge. Per evitare questa deriva occorre subito un impegno degli stati, sia sul piano internazionale che interno, a sviluppare maggiori forme di dialogo nell’immediato, senza scartare spiacevoli ipotesi di interventi mirati a contenere la diffusione di forme integraliste capaci di compromettere equilibri delicati.
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