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giovedì 23 aprile 2015
L'Italia vuole il blocco navale della Libia
Quello pensato dal governo italiano per contrastare gli sbarchi di immigrati appare una soluzione che, invece di risolvere il problema, rappresenta una soluzione buona per il consenso interno e non sia realmente efficace nell’affrontare il problema. In sostanza Roma intende chiedere al Consiglio di sicurezza dell’ONU di prendere in considerazione la misura di effettuare un blocco navale della Libia. Aldilà di cosa decideranno le Nazioni Unite, questo ipotetico provvedimento appare inadeguato ed impossibile da realizzare. Come sarà possibile controllare tutta la costa libica, senza contare che molte imbarcazioni dirette in Italia partono anche da altri stati nordafricani, quali saranno i provvedimenti che si useranno con i natanti catturati e quale sorta toccherà alle persone a bordo delle imbarcazioni che riusciranno a sfuggire al blocco? Inoltre le ragioni dei disperati che affrontano diverse migliaia di chilometri in più anni possono cambiare soltanto con la presenza di un blocco navale? Per chi arriva in Libia quale destino si prepara? Le ovvie risposte a queste domande rendono il provvedimento pensato dal governo italiano inadatto, ma vi sono anche altre ragioni di carattere internazionale che dovrebbero fare riflettere. La disponibilità assicurata dal governo illegittimo di Tripoli, che ha scalzato il governo legittimamente eletto, fuggito a Tobruk, dovrebbe rendere sospettosi su questa apertura. L’esecutivo che si è insediato a Tripoli è filo islamista, pur non essendo sulle posizioni estreme dello Stato islamico, ha molti esponenti, che, si ritiene, siano parte attiva nel traffico degli esseri umani ed ha tutto l’interesse a trovare un riconoscimento internazionale, dato che non è riconosciuto da alcuno stato. L’Italia porterà questa proposta anche di fronte al Consiglio d’Europa per l’immigrazione, con l’aggiunta della creazione di una polizia europea capace di contrastare il traffico umano. Queste risposte appaiono improntate ad un tono forte, con l’ovvio intento di accontentare, almeno parzialmente il malcontento interno sia italiano che europeo, nei confronti dell’immigrazione da parte dei sempre più forti movimenti populisti, ed appaiono pensati sull’onda della necessità di fare fronte ad imminenti consultazioni elettorali o contrasti con stati più influenti. Appare logico che il contrasto ai trafficanti di esseri umani deve essere una mossa necessaria, ma da sola non basta se il problema non viene risolto alla radice, dove nasce l’esigenza della fuga, per la presenza di guerre e carestie. Il problema è troppo complesso per essere risolto con una sola azione di forza, che può risolvere, in parte, l’urgenza contingente, ma non può sul medio e lungo periodo avere effetti efficaci. L’esigenza italiana è comprensibile, perché con gli accordi europei in vigore l’immigrato può richiedere asilo soltanto nel primo paese di arrivo e la situazione attuale italiana è destinata a diventare insostenibile, ma la resistenza dei paesi del nord alla divisione degli immigrati indica una rigidità difficile da superare. In sostanza l’Europa appare disposta ad aumentare il budget dell’operazione Triton, ma non di fare diventare quella italiana, Mare Nostrum, che ha permesso un maggiore numero di salvataggi, come una iniziativa dell’Unione. Certo con Triton allargata si potranno fare un numero maggiore di salvataggi di quelli attuali, ma mai come quelli che riusciva a fare la Marina italiana da sola. Per questa ragione Bruxelles dovrebbe approvare le norme più stringenti proposte dall’Italia, che mirano a ridurre l’arrivo del numero dei migranti, ma non ha permettere quelle, che sostanzialmente costringerebbero in forma ufficiale i paesi del nord a farsene anche carico. In questa partita la posizione della Libia appare fondamentale: già detto della disponibilità del governo non riconosciuto di Tobruk, che è, quindi, non considerabile, l’auspicio del governo italiano è quello di una costituzione di un esecutivo di unità nazionale che costituisca la sintesi dei due governi attuali. Il processo, sempre che arrivi ad una conclusione appare molto lungo, con tempi incompatibili per le urgenze attuali. Anche perché, quello che dovrebbe preoccupare l’Europa è anche la sorte di chi arriva nel paese libico, dove le condizioni umane dei migranti sono al limite della sopravvivenza e condizionate da violenze e sfruttamento. Questo è un effetto collaterale della pessima gestione del dopo Gheddafi, che le nazioni europee dovrebbero ricordare quando pensano alla gestione dell’immigrazione. D’altro canto sarebbe necessario anche un maggiore impegno per stabilizzare il paese libico, non solo per l’emergenza attuale, ma anche in prospettiva futura, per la presenza dello Stato islamico in riva al Mediterraneo. Tornando alla questione dell’immigrazione le proposte che sembrano prendere campo costituiscono soltanto un dispositivo di difesa inattuale in un contesto che si è voluto globalizzato soltanto per i settori che garantivano una convenienza adeguata. Rimane impossibile ignorare le motivazioni per cui le grandi masse sono costrette a spostarsi e forse andrebbero prese in considerazione soluzioni capaci di garantire l’accoglienza in forma liberalizzata, coniugate alla capacità di progettare nuove forme di economia in grado di sostenere anche il fenomeno della diminuzione delle nascite, molto presente in Europa. Sapendo però gestire i traffici migratori con la capacità di individuare i soggetti pericolosi e non cercare di impedire in modo indiscriminato la fuga da condizioni di vita proibitive.
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