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giovedì 30 aprile 2015
Se l'Ungheria vuole ristabilire la pena di morte, deve essere messa fuori dell'Unione Europea
Può l'Unione Europea derogare ancora ai suoi principi e tollerare al suo interno stati che hanno governi che sono di fatto avulsi ed estranei alle norme comuni e, probabilmente, restano dentro a Bruxelles soltanto per avere benefici economici e contributi? La ragione dovrebbe dire di no, soprattutto in un momento di acuta crisi istituzionale, che mette in dubbio l’esistenza stessa dell’istituzione, soprattutto per la sua debolezza politica intrinseca e lo scarso peso internazionale. Il caso dell’Ungheria è, al riguardo, emblematico. La coalizione di destra che guida il paese e che ha già più volte infranto le leggi comunitarie, imponendo leggi restrittive alla stampa, sistemi elettorali illiberali ed un comportamento costantemente contrario all’indirizzo, seppure vago, dell’Unione Europea, ha ora intrapreso un dibattito a favore della pena di morte. Questa misura è stata invocata ad esclusivo beneficio delle richieste dell’estrema destra del paese, che è strettamente funzionale alla vita stessa dell’esecutivo. Non è difficile credere che, in caso di necessità della sopravvivenza del governo, il premier ungherese potrebbe abbassarsi a violare un principio fondamentale dell’Unione Europea. Se la condanna di Bruxelles è scontata, in questo caso non bastano più le parole, ma occorre che i proclami siano seguiti da fatti concreti. Già lo scorso anno l’esecutivo dell’Unione Europea ha varato un progetto che vuole misurare l’applicazione delle regole democratiche nei singoli stati aderenti, con la possibilità di sanzionare eventuali derive autoritarie con, ad esempio, il ritiro del diritto di voto. Questa misura, per ora mai applicata, non sembra sufficiente a preservare le regole democratiche e la stessa stabilità europea contro le violazioni presenti e soprattutto future, che potranno verificarsi. Non è un mistero che nel vecchio continente sono previsti in crescita i movimenti populisti e di estrema destra, che potrebbero tentare di stravolgere le regole basilari su cui poggia l’impianto europeo. Esiste una chiara necessità di varare un sistema sanzionatorio rigido di fronte a violazioni di questo tipo, che porti, come pena massima, anche all’esclusione dall’Unione Europea per quello stato che dimostri di non accettare più le regole fondamentali, che se necessario, devono essere rafforzate legalmente, anche rivedendo le condizioni di accesso ed, eventualmente, imporre nuove firme, tramite il rinnovo degli accordi, per l’adesione all’Unione Europea. Ciò potrebbe anche costituire una via alternativa al necessario rafforzamento politico, che resta l’unica strada possibile per fare diventare l’unione un soggetto politico internazionale di levatura mondiale. Tuttavia, nonostante il dibattito iniziato sulla questione ungherese al parlamento europeo, proprio il massimo organo legislativo comunitario ha dimostrato una propria debolezza politica intrinseca all’interno dei suoi organi. Ciò si è concretizzato con la mancata sanzione al partito del premier di Budapest, da parte dal proprio gruppo di appartenenza: quello dei popolari. Non vi è stata, infatti, alcuna presa di posizione ufficiale, soprattutto di condanna, da parte del gruppo politico, che in teoria, si ispira ai valori cristiani tradotti in politica. Inoltre il premier ungherese ha dimostrato anche scarsa sensibilità nei confronti del tema dei migranti, essendo l’unico esponente governativo a non partecipare alla riunione straordinaria sul tema, che si è tenuta a Bruxelles. Se l’Europa vuole ragionare solo in termini economici, allora che vengano valutati anche i costi del mantenimento all’interno del perimetro dell’Unione di stati che non condividono i principi fondativi e restano solo per motivi opportunistici. Avviare un processo di revisione dell’appartenenza a Bruxelles sembra ora più necessario che mai; la strategia di includere chiunque ad ogni costo si è rivelata controproducente e non ha prodotto quella coesione tra i popoli e le nazioni che era attesa, aumentando i fattori di instabilità all’interno di Bruxelles e, spesso, diventando ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo politico prefissati. Pare che sia arrivato il momento di ridiscutere i criteri di appartenenza e di ammissione all’Europa unita, per raggiungere un minimo di valori condivisi in maniera assoluta e convinta, sui quali costruire la casa comune europea: chi non accetta ciò non deve più partecipare. Sia l’Ungheria o anche stati più importanti.
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