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venerdì 15 maggio 2015

Il disegno di Obama per il nuovo equilibrio mediorientale

Il vertice che si è tenuto tra gli USA e gli alleati del Golfo Persico, disertato, però, da alcuni esponenti più importanti delle monarchie sunnite, ha cercato di assicurare i paesi sauditi, circa l’atteggiamento degli Stati Uniti nei loro confronti ed ha tentato di ridefinire gli equilibri dell’assetto della regione. Un protagonista, non gradito dai sauditi, dell’evoluzione regionale, era assente, in quanto no gradito dalle monarchie del Golfo, ma la sua presenza è stata comunque assicurata dall’oggetto dei colloqui. L’intenzione di Obama, infatti, è quella di ridefinire, a livello regionale, il ruolo dell’Iran, destinato, ormai, ad uscire dall’isolamento internazionale. La prima mossa del presidente americano è stata quella di assicurare l’appoggio degli Stati Uniti ai paesi del Golfo, come dovuto ad alleati di lunga data. Nonostante il raffreddamento dei rapporti con le monarchie sunnite, dovuto all’avvicinamento tra Washington e Teheran, a causa delle trattative sul nucleare e sulla politica energetica americana, divenuta sempre più indipendente dal petrolio degli sceicchi, per gli Stati Uniti la stabilità della parte occidentale del Golfo Persico è fuori discussione, entro gli assetti attuali; la migliore prova è l’appoggio che la Casa Bianca ha assicurato nel conflitto contro i ribelli sciiti dello Yemen. Il discorso è differente per quanto riguarda l’Iraq. Caduto Saddam Hussein, che agiva spesso anche in contrasto con i paesi del Golfo, ma che assicurava ai sunniti il dominio del paese, relegando gli sciiti in posizioni di secondo piano, il paese ha avuto una cattiva gestione, favorito anche dall’errato atteggiamento americano, che, in parte ha favorito lo sviluppo dello Stato islamico. In questo momento per gli USA la sconfitta del califfato è uno degli obiettivi più urgenti. Washington, che si è sempre detta contraria ad una divisione del paese, ha dovuto riconoscere, anche se non ufficialmente, che tenere unito uno stato dove sciiti e sunniti sono avversari politici e, nel migliore dei casi riescono soltanto a sopportarsi, ha un costo elevato e determina situazione di grave instabilità, tra cui la maggiore è proprio stata l’avanzato dello Stato islamico. Nel disegno di Obama si è delineata una zona di influenza divisa tra sciiti e sunniti, ancora da determinare con quali modalità ciò debba avvenire: se con una divisione dello stato irakeno o con un federazione, che consenta maggiore autonomia alle due parti, ed anche ai curdi, inserita nell’impianto istituzionale dello stato irakeno ancora unito. In realtà questa divisione di fatto esiste già ed è ormai un fatto acquisito, grazie all’intervento sul terreno degli iraniani, determinante per arrestare l’avanzata del califfato. Teheran, quale nazione guida degli sciiti, si è mossa in difesa delle popolazioni dell’Iraq orientale, che, in maggioranza, seguono questo ramo dell’islam. Gli iraniani, però, pensavano di applicare lo stesso metodo per la minoranza Houti, anch’essa sciita, che costituisce la ribellione nello Yemen. Il tutto avviene nel duello a distanza tra Arabia Saudita e gli stati sunniti e lo stesso Iran, quale rappresentante degli sciiti, che ha ampi strascichi anche in Siria. La chiara intenzione di Obama e di condurre una sorta di ruolo di arbitro tra le due parti, con l’intento finale di arrivare ad un reciproco riconoscimento, con lo scopo di favorire una convivenza pacifica. Non è un compito facile, il Presidente americano deve tenere una specie di equidistanza ma non troppo evidente: per fare ciò deve fissare dei limiti netti, come quello dello Yemen, dove una parte non può sconfinare nella maniera più assoluta. Un aspetto molto difficoltoso è convincere i sauditi che la trattativa sul nucleare iraniano, sia un deterrente alla proliferazione nucleare, al contrario di quanto sostenuto dalle monarchie del Golfo, ed anche da Israele, che ritengono che l’Iran possa arrivare alla costruzione della bomba atomica, attraverso la tecnologia nucleare civile. Obama, in questo caso, ha scelto certamente il male minore, contrattando un sistema di controlli, che dovrebbe impedire all’Iran di iscriversi al club delle potenze atomiche. Uno degli argomenti più convincenti è la sostanziosa presenza di apparati ed effettivi militari americani nelle basi del Golfo Persico, pronte ad intervenire rapidamente, nel caso si verificasse l’ipotesi remota di un attacco iraniano. Deve essere però specificato,  che Obama ha respinto l’ipotesi della creazione di una sorta di Alleanza Atlantica con i paesi del Golfo, ritenendo sufficienti le assicurazioni e lo schieramento bellico presente nella zona. In realtà costruire una alleanza militare così strutturata sarebbe stato una provocazione per l’Iran e, quindi, una mossa da evitare assolutamente per il delicato sistema di bilanciamento studiato per consentire i nuovi equilibri regionali. Per la Casa Bianca questa scelta non è un disegno meditato ma si tratta di una tappa obbligata: se era impossibile contenere ancora l’Iran con le sanzioni e l’isolamento, perché ciò avrebbe aumentato troppo il risentimento di Teheran ed avrebbe obbligato gli iraniani ad intraprendere azioni di forza per sbloccare una situazione troppo a lungo subita, gli USA hanno pensato ad un avvicinamento graduale, che passasse proprio attraverso la riduzione progressiva delle sanzioni e la concessione del nucleare civile. Certamente si è trattato di una scelta che ha portato scompiglio nel campo sunnita, ma allo stesso tempo,  è servita per evitare che le monarchie del Golfo intraprendessero azioni contro l’Iran. L’opera di Obama, in questo senso, è solo all’inizio e dovrà presto scontrarsi con un problema ancora più grande della questione irakena e della stesso conflitto contro lo Stato islamico: la gestione della Siria. Infatti in Iraq, il califfato rappresenta, ormai , un pericolo per gli stessi stati sunniti, che hanno contribuito a crearlo, ma la Siria è diventata un obiettivo strategico; per i sunniti si tratta di sottrarla all’influenza iraniana, per l’Iran si tratta, al contrario, di mantenere Assad al comando per non perdere un alleato strategicamente fondamentale. Se prima, per Washington, Assad era considerato un nemico, attualmente viene considerato strumentale per la sconfitta del califfato, che proprio in Siria, ha le sue basi più efficienti. Su Damasco, quindi, si giocherà una partita fondamentale per gli equilibri del medio oriente e per quanto Obama ha cominciato a cercare: la pace tra sunniti e sciiti, con il reciproco riconoscimento. Se si arriverà a raggiungere questo obiettivo , unito alla definitiva applicazione della soluzione dei due stati tra Israele e Palestina, forse si potrà dire che Obama avrà meritato il premio Nobel che gli è stato assegnato troppo presto.

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