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lunedì 11 maggio 2015
Quattro capi di stato arabi disertano il vertice tra USA e Consiglio di cooperazione del Golfo
Il vertice organizzato da Barack Obama con il Consiglio di Cooperazione del Golfo, avrà importanti assenze. Saranno ben quattro i monarchi che non parteciperanno all’incontro voluto dagli Stati Uniti per rassicurare le monarchie del Golfo circa la loro percezione relativa al disimpegno che Washington, sembra portare avanti nei confronti della regione, dedicandosi ad altre priorità. Inoltre a preoccupare gli stati sunniti, vi sono i crescenti contatti, giudicati come concessioni sul tema del nucleare, verso l’Iran. Quello che è temuto maggiormente riguarda proprio l’aumentata importanza nella regione mediorientale da parte iraniana, che sembra avviarsi all’uscita dall’isolamento a cui il paese iraniano sembrava ormai condannato, per la sua politica antiamericana e per le sue intenzioni di sviluppare la tecnologia atomica. A contribuire all’accresciuta importanza di Teheran sono stati essenzialmente due fattori: le trattative sul nucleare, che hanno coinvolto le maggiori potenze mondiale ed hanno messo fine all’isolamento diplomatico della repubblica islamica sciita, il loro svolgimento, che ha presentato Teheran non più come uno stato intransigente, ma capace di avviare un dialogo basato sulle relazioni internazionali e i risultati raggiunti, che hanno sancito una vittoria per l’Iran, che si avvia a vedersi riconosciuto dalla comunità internazionale, salvo alcune eccezioni, il diritto a sviluppare la tecnologia nucleare per scopi civili. Ciò è propedeutico alla fine delle sanzioni economiche, il che vuole dire la presenza sulla scena dell’economia e della finanza di un avversario con grandi potenzialità, proprio nei confronti delle monarchie del Golfo divise dallo stato iraniano anche da rivalità di ordine religioso. All’aspetto diplomatico è complementare quanto ha fatto l’Iran sul terreno militare nel contenere l’avanzata dello Stato islamico, formazione terroristica di matrice sunnita, che ha stravolto il comportamento delle organizzazioni terroristiche islamiche, passando da una modalità propagandistica attuata attraverso attentati all’esercizio della sovranità su di un territorio ben definito. Per Washington questo fattore ha rappresentato una minaccia che ha tuttora carattere di urgenza nella necessità della sua soluzione; ma le condizioni di Obama sono sempre state soltanto quelle di combattere il califfato soltanto con mezzi aerei e vietare tassativamente l’impiego di militari americani sul terreno. L’insufficienza dell’aviazione militare, seppure importante, non ha colmato l’esigenza di una presenza sul terreno, vuoto riempito dai combattenti curdi affiancati dagli iraniani. Uno dei motivi del raffreddamento dei rapporti tra Usa e stati del Golfo è stato l’atteggiamento di questi ultimi nel finanziare le formazioni che hanno poi dato vita allo Stato islamico, nell’ottica di indebolire il regime siriano e strappare la Siria all’influenza iraniana. La Casa Bianca, in totale controtendenza, era per favorire le formazioni non confessionali, ma ciò non è stato, svelando una scarsa coordinazione di intenti e di azione tra i paesi del Golfo e gli americani, tradizionalmente alleati. Dopo che lo Stato islamico è sfuggito al controllo dei finanziatori, Washington non ha gradito lo scarso impegno con cui le monarchie del Golfo hanno risposto alle richieste americane per un maggiore impegno. Tutto questo scenario, nella sua complessità, ha allontanato i paesi sunniti del Golfo Persico dagli Stati Uniti; tuttavia Washington ha la necessità di recuperare un rapporto di lunga data, soprattutto per continuare ad essere una sorta di fattore di equilibrio nei nuovi assetti che si sono delineati nel medio oriente. Quello chela Casa Bianca deve assolutamente scongiurare è un confronto diretto, basato sui fattori religiosi, da cui fare discendere quelli geopolitici, che coinvolga le monarchie del Golfo opposte all’Iran. Per queste ragioni è stato organizzato il vertice, che deve soddisfare l’esigenza degli USA di ripianare i contrasti e sviluppare una nuova visione per la sicurezza mediorientale. Questa esigenza dovrebbe essere condivisa anche dagli stati sunniti del Golfo, ma le defezioni alla partecipazione, dei personaggi di primo piano rivela che la distanza tra le due parti è ancora consistente. A non partecipare sarà il Re dell’Arabia Saudita, l’emiro del Bahrein, il sultano dell’Oman ed il monarca degli Emirati Arabi Uniti. Soltanto i leader di Qatar e Kuwait parteciperanno in prima persona al vertice. I quattro monarchi assenti saranno da diversi dignitari, tra i quali principi ereditari e ministri degli esteri, ma la loro assenza rappresenta il chiaro segnale di un vivo malessere nei confronti della politica estera condotta da Obama nella regione. Occorre anche dire, che l’atteggiamento delle monarchie del Golfo nei confronti degli sviluppi nell’area del medio oriente è apparso di grande impreparazione allo svolgimento degli eventi. Queste nazioni sono rimaste arroccate in posizioni tradizionali e non hanno saputo cogliere il cambiamento in atto sulla scena internazionale, mirando ad una difesa praticamente ad oltranza dello status quo. L’evoluzione dei rapporti, con l’Iran, ad esempio, non andava contrastata con tentativi improvvisati per sottrarre all’influenza iraniana la Siria, ma occorreva affrontarla da un differente punto di vista, capace di cogliere le opportunità per stabilizzare la regione anziché inserire nuovi strumenti di alterazione degli equilibri. Obama non è stato un gran presidente in politica estera, ma poteva offrire garanzie sufficienti a tutelare nuove forme di dialogo. I paesi del Golfo, hanno, invece, scelto la via opposta ed il caso yemenita lo dimostra. Non che l’Iran abbia tutte le ragioni, quello che viene temuto dai paesi del Golfo è comprensibile: se Teheran esce dall’isolamento può veramente alterare gli equilibri regionali, ma questo può avvenire, soltanto in una condizione di contrasto esasperato; d’altronde la teocrazia di Teheran e la monarchia del Golfo, politicamente sono molto simili e proprio questa forte similitudine potrebbe contribuire ad aumentare l’attuale momento di tensione. Non cogliere l’occasione porta da Obama appare un ulteriore errore tattico, mai come in questo momento gli USA possono rappresentare l’ago della bilancia tra le due parti, ma hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile.
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