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mercoledì 29 luglio 2015

Il processo di pace tra Turchia ed i curdi appare finito

L'interruzione del processo di pace con i curdi voluto da Erdogan minaccia di incrinare i rapporti internazionali di Ankara con alleati e vicini del medio oriente e compromettere seriamente la già fragile stabilità interna. Se in pubblico i membri dell’Alleanza Atlantica appoggiano la politica turca di repressione a quello che viene definito terrorismo, in privato i loro sentimenti sono profondamente contrari all’interruzione del processo di pace. Dal punto di vista internazionale, le azioni in territorio irakeno, rappresentano una chiara violazione di sovranità, che ha suscitato le proteste di Bagdad. La regione curda gode di una autonomia rilevante all’interno dell’assetto istituzionale irakeno ed i combattenti curdi sono stati fondamentali per impedire l’avanzata dello Stato islamico; inoltre i profondi legami del governo di Bagdad con l’Iran, che si è rivelato un alleato importante del governo in carica, rischiano di focalizzare le azioni della Turchia sunnita come dirette contro un esecutivo di matrice sciita. La questione non è secondaria perché potrebbe acuire lo scontro all’interno della religione islamica e sovvertire i delicati equilibri che sostengono la lotta contro il califfato. Le ragioni di Erdogan, per effettuare i bombardamenti sui curdi, che sono stati molto più intensi che quelli effettuati conto il califfato, sono tutte dettate da fattori di opportunità e mero calcolo politico. Ankara vuole ridurre il peso politico derivante dai successi dei curdi contro lo Stato islamico, sul cui slancio potrebbe concretizzarsi la realizzazione dello stato del Kurdistan. Non per niente Erdogan ha parlato espressamente di prevenzione al reato di violazione dello stato turco. L’eventualità della creazione di uno stato curdo non è stata, però, un argomento che dovesse riguardare i territori della Turchia, Erdogan vuole soltanto prevenire una entità statale curda ai suoi confini. Anche dal punto di vista interno, il progetto di indebolire la forza del Partito Curdo dei Lavoratori, serve a diminuire l’impatto emotivo che è stato alla base del successo del partito pro curdo, votato anche da turchi come simbolo della contrarietà ad Erdogan, che ha evitato che la formazione del presidente turco ottenesse la maggioranza assoluta. Quello che si sospetta è che il governa voglia ripetere entro breve tempo le elezioni politiche per sovvertire l’ultimo risultato elettorale. Questa eventualità andrebbe a contribuire alla creazione di uno scenario dove sarebbe prevalente la grande instabilità interna e dove si potrebbe configurare un palese abuso della democrazia del paese, che appare già compromessa da diversi atteggiamenti illiberali dell’esecutivo di Ankara. Riaprire il conflitto interno con i curdi potrebbe anche costituire un pericolo per la stabilità dei paesi vicini, dove le comunità curde si stanno affrancando dai governi locali, per sostenere quella, che potrebbe diventare, una vera e propria guerra contro i curdi della Turchia. L’esagerato nazionalismo su cui si basa il potere di Erdogan, sarebbe così usato come strumento interno di aggregazione intorno al governo in carica, per coprire i fallimenti diplomatici della Turchia, che l’hanno portata al quasi isolamento e l’impostazione illiberale, caratterizzata da una sempre maggiore impronta di tipo confessionale, imposta alla società civile della Turchia. Con questi presupposti è logico che un ingresso turco in Europa è sempre più impossibile ed anche avere normali rapporti di tipo diplomatico, aldilà della facciata, risulta sempre più problematico . Resta da vedere se l’azzardo americano, di avvallare i bombardamenti delle postazioni del Partito dei lavoratori curdi, produrrà qualche effetto tangibile sulla guerra allo Stato islamico o se si rivelerà una mossa perdente. In questo secondo caso la sovranità del califfato è destinata ad allungarsi pericolosamente.

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