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giovedì 6 agosto 2015
Per Obama, e per gli USA, è essenziale la ratifica del trattato sul nucleare dell'Iran
Raggiunto l'accordo con l'Iran per la questione nucleare, è ora il percorso di ratifica del trattato a preoccupare Obama. Il Presidente degli Stati Uniti deve fare i conti con i due rami del Congresso, dove la maggioranza è a favore del Partito Repubblicano, fermamente contrario a quanto raggiunto a Vienna, perché teme un rafforzamento dell’Iran, come potenza regionale e come nuova potenza nucleare. In realtà, secondo Obama, il trattato mira proprio a scongiurare questa seconda ipotesi per almeno dieci anni, grazie ai controlli previsti e firmati da Teheran. A parte le diffidenze ideologiche e l’influenza dello stato israeliano sui deputati repubblicani, le condizioni del trattato appaiono realmente una garanzia sul breve periodo per impedire una proliferazione nucleare nel paese iraniano, mentre, sul lungo periodo, si cerca di favorire una maggiore apertura al mondo dell’Iran, per favorire un ricambio politico in senso meno conservatore, che non possa più rappresentare un pericolo tra dieci anni. L’obiettivo è, cioè, quello di avere un lasso di tempo abbastanza lungo, per permettere una diversa visione al popolo iraniano ed ai suoi governanti, quando Teheran potrà, se deciderà di farlo, diventare una potenza atomica. Posticipare questo momento, significa non permetterlo ora, con l’influenza ancora troppo forte dei conservatori e dei religiosi a scapito del minore margine di manovra dei progressisti. Il ragionamento è troppo lineare per essere contraddetto, con motivazioni che siano pratiche e non di principio o di parte politica, anche perché sono previste delle sanzioni senz’altro efficaci se Teheran dovesse infrangere i patti. Una delle motivazioni del rifiuto repubblicano potrebbe essere quella di impedire una vittoria di Obama in politica estera e privarlo di un grande successo alla vigilia della scadenza del suo mandato, fattore che potrebbe poi riflettersi nella corsa alla Casa Bianca, influendo negativamente sul nuovo candidato democratico. Questo scenario è possibile, ma renderebbe un pessimo ritorno al peso politico degli Stati Uniti, riducendone, di fatto , il prestigio internazionale, difficilmente recuperabile per il nuovo presidente, di qualunque partito sarà. La credibilità ridotta come leader mondiale della diplomazia potrebbe essere un risultato da valutare attentamente da parte del Congresso, con molte sfide ancora aperte e lontane dalla risoluzione. Vanificare un lavoro durato anni, che può permettere, tra l’altro, di rompere l’isolamento dell’Iran, per farlo rientrare nella scena diplomatica, verrebbe recepito nel mondo internazionale, come un pericoloso autolesionismo, segno di uno stato non coeso e non affidabile nella gestione dei problemi internazionali; ciò potrebbe causare un vuoto di potere, difficile da colmare, perché non esiste sulla scena mondiale un attore in grado di rimpiazzare gli Stati Uniti come potenza principale. Obama, dunque è forte di questi argomenti, per cercare di convincere, non solo i repubblicani, ma anche quei democratici che non sono convinti della bontà dell’accordo. Il meccanismo legislativo americano prevede che in caso di rifiuto del Congresso, il presidente può opporre un veto, che, tuttavia, può essere a sua volta respinto se i due terzi delle camere votano contro la decisione presidenziale. Obama ha un buon margine di manovra per ottenere la vittoria, ma non in modo così netto e la propaganda israeliana è al lavoro per fare fallire l’accordo. Per cercare di tranquillizzare Tel Aviv la Casa Bianca ha promesso un incremento degli aiuti per la difesa del paese, soprattutto in vista della discussione del rinnovo del patto per l’assistenza alla difesa del paese israeliano, che è in scadenza. Proprio relativamente a questo tema i militari israeliani hanno già fatto delle richieste specifiche agli americani, che vertono sulla difesa missilistica e lo scambio di informazioni. Con questi argomenti in gioco, Tel Aviv non potrà andare troppo contro gli obiettivi di Obama e della maggiore parte del partito democratico, anche perché, per ora, i repubblicani non sembrano favoriti nella corsa alla Casa Bianca. In ogni caso anche all’interno di Israele ci sono opinioni favorevoli all’accordo, che si basano proprio sulle ragioni di Obama.
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