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mercoledì 16 settembre 2015
All'intransigenza ungherese l'Unione Europea dovrebbe rispondere con la dovuta fermezza
Budapest prosegue la sua politica repressiva contro i profughi, inaugurando misure più severe contro i migranti, che prevedono anche l’arresto. Sono già 316 le persone private della libertà personale a causa della violazione della legge sull’immigrazione irregolare, mentre le autorità magiare continuano a respingere le esigue richieste di asilo in Ungheria, dato che la parte maggiore dei migranti considera il paese soltanto una tappa di avvicinamento alle mete prescelte: Germania e paesi scandinavi. Secondo la polizia unghere sono oltre 200.000 le persone che hanno attraversato il confine, seguendo la rotta balcanica verso il paese tedesco. L’atteggiamento di Budapest, che si è inasprito ulteriormente contro i profughi e contro la volontà di Bruxelles sul tema dell’accoglienza, pone l’Ungheria in una posizione problematica, dato che, come è stato rilevato da più parti, se Budapest dovesse entrare ora nell’Unione Europea non avrebbe i requisiti necessari. Questo dato, incontestabile, pone in evidenza la necessità di rivedere i trattati di adesione all’Unione Europea e prevedere, in casi di gravi violazioni, come è appunto quello ungherese, sanzioni via via più pesanti, fino ad arrivare all’espulsione ed all’interruzione dei rapporti diplomatici. Ciò si rende necessario per preservare i fondamenti stessi su cui poggia l’istituzione europea. Sul fronte della vicenda dei migranti, all’intransigenza di Budapest si notano atteggiamenti profondamente differenti come quelli di Belgrado e Zagabria. I serbi stanno facendo una operazione diplomatica per convincere gli ungheresi a permettere ai profughi di proseguire verso le mete scelte, mentre la Croazia ha confermato la propria disponibilità al transito dei migranti per permettergli di raggiungere la Germania. Si tratta di comportamenti conformi alle volontà dei rifugiati, che evidenziano come siano possibili soluzioni alternative a quelle praticate dagli ungheresi sul piano pratico, mentre l’accanimento di Budapest pare avere una matrice essenzialmente politica al limite del puro razzismo. La percezione è che l’Ungheria voglia ambire a diventare un modello di chiusura e di esempio per tutti i movimenti di estrema destra che avverano l’idea stessa di Europa unita. Del resto Orban ha più volte manifestato apertamente volontà illiberali, in pieno contrasto con l’essenza democratica, non solo europea, ma di ogni democrazia matura, andando a colpire il dissenso interno con misure che hanno limitato profondamente la libertà di espressione e di stampa. La sua proposta di rimettere in vigore la pena di morte ha prodotto in Europa una reazione tale da costringere il leader ungherese a ritornare sui suoi passi; tuttavia le idee repressive sono profondamente radicate ed evidenziano anche una certa sintonia con buona parte del tessuto sociale del paese. La questione non è irrilevante, ma attualmente ha assunto dimensioni tali, proprio con la vicenda dei profughi, che devono determinare domande specifiche sull’opportunità della permanenza del paese magiaro all’interno dell’Unione Europea. Questi sentimenti però non sembrano all’ordine del giorno dell’agenda dei leader continentali, non si sa se per una ragione di priorità o per il timore di scatenare profondi dissidi tra i membri di Bruxelles. Al contrario permettere tali prese di posizione, palesemente contrarie ai principi dell’unione, rappresenta una emergenza paragonabile a quella dei migranti, seppure di tipo e di natura differente, anche se i due fenomeni, come si può notare, sono intimamente connessi. L’Europa, se vuole arrivare all’unione politica e non solo economica, deve essere intransigente sui sentimenti dei singoli stati e sul loro indirizzo, ponendo limiti invalicabili oltre i quali devono scattare difese adeguate.
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