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lunedì 7 settembre 2015

Francia e Regno Unito pronte ad entrare in azione contro lo Stato islamico

Una delle conseguenze che il movimento migratorio dei profughi siriani potrebbe provocare, consiste nella partecipazione di Francia e Regno Unito, al fianco delle forze aeree statunitensi, nella lotta contro lo Stato islamico, nel territorio siriano. I governi dei due paesi europei sembrano concordi della necessità di affrontare la questione della presenza del califfato, individuandola come causa principale della fuga della popolazione siriana. In realtà gli integralisti islamici sono soltanto una parte del problema, l’altra parte è il dittatore di Damasco, che seppure confinato in una porzione di territorio molto ridotta, continua ad esercitare forme di violenza altrettanto gravi di quelle praticate dallo Stato islamico; inoltre una sua permanenza sulla scena politica siriana non costituirebbe certo un elemento di pacificazione della guerra civile in corso. Tuttavia, sia Cameron, che Hollande, sembrano condividere la tattica di Washington, che sta optando per risolvere un problema alla volta, ed il maggiore, in questo momento è ritenuto proprio lo Stato islamico, da sconfiggere a tutti i costi. In questo progetto per la figura di Assad viene ritenuta strumentale alla lotta contro il califfato, come ulteriore nemico degli integralisti, il cui ruolo non deve essere assolutamente scartato nell’economia del conflitto. Queste riflessioni rappresentano però considerazioni tardive, sia di tipo politico, che militare. La guerra civile in corso da quattro anni ha come principale, se non unico, responsabile proprio il presidente siriano, che non ha permesso una trasformazione in senso democratico del paese ed ha soffocato in modo violento le manifestazioni di protesta fino dall’inizio della questione, poi degenerata in conflitto civile. Se dal punto di vista militare la presenza di Assad, come elemento contrario allo Stato islamico, può avere qualche fondamento, almeno nell’immediato, è anche vero che la logica conseguenza è quella di consegnare al presidente siriano una sorta di autorevolezza, anche sul piano internazionale, seppure ufficiosa. Questo aspetto, la cui responsabilità originaria ricade nella condotta caratterizzata da troppa indecisione di Obama su cosa fare all’inizio della crisi, non deve essere mai dimenticato per una soluzione definitiva di tipo politico del problema siriano. Non è un caso che la Russia si stia muovendo sia a livello diplomatico, dichiarando, dopo tanto tempo di immobilismo, che il problema principale della Siria è lo Stato islamico, sia a livello militare, incrementando la sua presenza di effettivi nella sua unica base navale nel Mediterraneo, quella di Tortosa. L’obiettivo, dichiarato da sempre, del Cremlino è quello di mantenere Assad al potere: al momento questa eventualità è praticabile soltanto nella piccola porzione di territorio che le forze regolari siriane riescono a controllare, ma se il califfato subisse sconfitte decisive, in grado di costringerlo ad arretrare, i soldati di Assad sarebbero favoriti indirettamente nella riconquista. Questa possibilità non scongiurerebbe affatto le ondate migratorie, che possono essere fermate soltanto con un accordo politico successivo all’eliminazione dello Stato islamico, così come di Assad dalla scena siriana. Paradossalmente però, nel momento attuale, questa seconda ipotesi pare essere meno possibile della prima, nonostante tutte le difficoltà, che una lotta al califfato possa comportare. Anche il fatto che Parigi e Londra intendano rivolgere i loro futuri sforzi contro gli integralisti, testimonia che il problema della permanenza di Assad non può essere ancora affrontato in modo aperto e sereno, nonostante che alcuni analisti ritengano l’intraprendenza francese proprio  una volontà di contro bilanciare le iniziative russe. Nel frattempo gli americani restano in un silenzio carico di incognite, soprattutto per le formazioni laiche della Siria, sulle quali si continua a valutare l’opportunità di rifornimenti di armi più massicci, questo aspetto, che forse doveva essere trattato ben prima in maniera più decisa, attualmente non ha la rilevanza che merita, probabilmente per non urtare gli iraniani, che, al pari della Russia, continuano ad appoggiare Assad. La situazione rimane così intricata e di difficile soluzione e l’ingresso di Francia e Regno Unito, senza ancora l’appoggio di consistenti truppe di terra, potrà complicare sensibilmente la vita del califfato, ma non certo costringerlo ad una sconfitta. 

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