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mercoledì 2 settembre 2015
Gli stati dell'Europa dell'est contro il sistema delle quote per dividere i migranti
Lo scenario normativo, che riguarda la questione dell'immigrazione, che si sta delineando nell’Unione Europea è in costante divenire, ma registra notevoli opposizioni da parte dei paesi dell’est europeo. L’atteggiamento profondamente ostile verso i profughi da parte dell’Ungheria, pare avere fatto proseliti nei governi di Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. I quattro paesi starebbero progettando una strategia comune, fortemente negativa verso ogni ipotesi che possa prevedere un sistema di quote di immigrati da accogliere nei propri territori. Questa decisione, se verrà attuata, rappresenterebbe la logica conclusione del percorso repressivo intrapreso verso gli immigrati, tendente ad escludere ogni coinvolgimento umanitario nella soluzione, anche temporanea della questione. Appare evidente, che questo sistema oltrepassa la capacità di gestire l’emergenza, ma si pone come evidente questione politica ed ideologica, in profonda antitesi a quello che le regole fondanti dell’Europa dovrebbero raccomandare. Si è in presenza, quindi, di una spaccatura, che non può essere considerata irrilevante e che è molto differente dall’atteggiamento, seppure non troppo favorevole verso i profughi, di altri governi europei. I sentimenti di chiusura, pressoché totale, dei quattro stati dell’Europa orientale, i cui cittadini negli scorsi anni si sono resi protagonisti di migrazioni sostanziose verso i paesi più ricchi del vecchio continente, appaiono una contraddizione in termini e violano i precetti umanitari di Bruxelles; questo motivo appare sufficiente per porsi la domanda se la loro permanenza all’interno dell’Unione Europea, sommata ad altre ragioni evidenti, tra le altre le leggi illiberali promulgate dal parlamento di Budapest, sia ancora legittima. L’augurio è che sia intraprese sanzioni adeguate nel quadro normativo previsto dalle procedure di infrazione. In ogni caso occorre valutare se sia opportuno imporre delle quote di profughi a paesi che esplicitamente dichiarano di non volerle, proprio per le condizioni a cui andrebbero incontro i migranti. Una soluzione sarebbe quella di tagliare quote sostanziose di fondi europei, anche per materie diverse dall’immigrazione, previste per queste nazioni, per destinarle a chi accoglie i profughi, impiegandole anche per il sostegno di attività di accoglienza dei migranti. Attualmente a Bruxelles è allo studio una proposta di legge, che possa permettere di superare il trattato di Dublino, attraverso l’attuazione di un meccanismo che possa permettere in maniera continuativa il collocamento dei profughi attraverso le quote che saranno previste per ogni singolo stato. La proposta appare ragionevole perché può permettere di accelerare il processo di destinazione dei profughi all’interno di un quadro normativo certo, che, per prima cosa mira ad evitare le fatiche a cui i migranti sono costretti per raggiungere le loro destinazioni e dare una soluzione organica al problema dove possano essere coinvolti tutti gli stati membri dell’Unione. Questa linea è caratterizzata da una linea contraddistinta dalla solidarietà e dalla mutua assistenza tra gli stati ed è portata avanti dalla Germania, che si è detta disposta ad accogliere tutti i profughi siriani, tuttavia, proprio la disponibilità tedesca ha suscitato le proteste degli stati dell’est, che vedono aumentare il flusso dei migranti sui loro territori, incolpando Berlino di esserne il motivo. La rotta balcanica, infatti, appare più agevole per raggiungere lo stato tedesco ed offre minori rischi legati alla traversata via mare, che dalla Turchia alla Grecia è senz’altro meno pericolosa rispetto a quella per raggiungere l’Italia dalle coste del nord Africa. Nel contempo dovrebbe essere avviata quella che viene definita la seconda fase della missione navale che sta attualmente operando nel Mediterraneo e che prevede l’opzione militare contro i trafficanti in acque internazionali. I rischi legati a questa opzione sono quelli di suscitare le reazioni degli stati costieri, anche se l’operatività è prevista esclusivamente fuori dalle acque territoriali e delle bande che gestiscono i traffici di esseri umani, spesso legati a formazioni estremiste islamiche. Ciò potrebbe generare uno stato di allerta permanente nelle acque prospicienti il paese italiano, senza nessuna garanzia di colpire le centrali organizzative del fenomeno. L’aspetto repressivo potrebbe, però, alleggerire la pressione sui paesi costieri, soprattutto l’Italia, e dirottare i flussi migratori verso le rotte balcaniche, acuendo la posizione negativa dei paesi dell’Europa orientale. A questo proposito è stato pensato di equiparare l’Ungheria a Grecia ed Italia per una via preferenziale dei collocamenti dei profughi. Infine Atene e Roma sono state sollecitate all’apertura dei centri di identificazione, misura già ampiamente prevista, ma che non è stata attuata per ragioni sia di emergenza, che degli ostacoli previsti dal trattato di Dublino, che impongono al primo paese dell’Unione Europea che registra il migrante a fare risiedere lo stesso sul proprio territorio, una regola che penalizza gli stati della frontiera meridionale, già ampiamente impegnati nelle azioni di salvataggio, senza o con poco supporto da parte di Bruxelles.
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