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venerdì 18 settembre 2015

Gli USA costretti a trattare con la Russia per la Siria

Il fallimento strategico e militare americano in Siria e politico in Iraq, avrebbero facilitato l’ascesa dei gruppi estremisti islamici, che, poi, sono andati a costituire lo Stato islamico. Questa analisi, senz’altro condivisibile, proviene da esperti statunitensi, tra cui alti ufficiali dello stato maggiore di Washington, che hanno, ormai, preso atto che le azioni militari condotte esclusivamente dal cielo non sono sufficienti senza un presidio del  territorio, fatto con truppe di terra. La Casa Bianca, conscia di questa esigenza ha puntato, per il paese siriano all’addestramento ed alla formazione dei ribelli moderati per creare unità terrestri in grado di fornire l’appoggio necessario ai bombardamenti eseguiti dal cielo ed anche dal mare, tuttavia vi è stato da parte degli strateghi del pentagono un errore di valutazione per eccesso, ritenendo possibile trasformare in soldati efficienti e capaci gli appartenenti alle formazioni laiche siriane. Il problema è che il materiale umano su cui lavorare si è rivelato troppo esiguo numericamente e di bassa qualità militare, una base sulla quale anche l’addestramento americano si è rivelato insufficiente per l’obiettivo da raggiungere. Attualmente si valuta che soltanto poche centinaia di siriani siano sottoposti alla formazione militare statunitense, mentre all’inizio del piano di Obama dovevano essere oltre 5.400 effettivi. Sul terreno restano impegnati i curdi, i quali hanno qualche risentimento verso gli USA a causa dei bombardamenti  che la Turchia effettua sulle loro postazioni, i soldati di Assad, che sono sempre meno, impegnati contro il califfato, ma che hanno un atteggiamento non sempre uniforme verso i curdi, gli Hezbollah, considerati terroristi dagli americani ed i combattenti iraniani, che affiancano i militari siriani regolari ed hanno anch’essi un rapporto conflittuale, anche se meno accentuato, con le milizie curde. In questo panorama variegato i combattenti delle formazioni democratiche, che sono in lotta sia contro Assad, che contro lo Stato islamico, hanno una parte molto contenuta. Per gli USA l’obiettivo principale resta la sconfitta del califfato, ritenuto potenzialmente una organizzazione in grado di crescita esponenziale e, sopratutto, capace di esportare il terrorismo, una volta che riuscisse a consolidarsi nei territori che occupa e che sta cercando di occupare. Obama ha sempre detto che nella guerra del medio oriente non c’è spazio per un nuovo intervento diretto sul terreno da parte dei soldati statunitensi e questa interpretazione pare condivisa dalla quasi totalità del popolo americano, così come da entrambi gli schieramenti poltici, che alla vigilia delle elezioni presidenziali, non intendono pronunciarsi a favore di un nuovo impegno paragonabile a quello intrapreso in Afghanistan ed in Iraq. In questo scenario è maturata già da tempo la teoria del male minore, individuato in Assad, anche grazie all’avvicinamento diplomatico di Washington con il suo maggiore alleato: l’Iran. Trattare questo tema è materia delicata per la Casa Bianca, che non può sbilanciarsi ufficialmente  su una personalità politica tanto controversa e sanguinaria, ma che, seppure militarmente fortemente ridimensionato, può essere l’unico mezzo disponibile per debellare le forze dello Stato islamico. Inoltre, a sostegno di Assad, è scesa in campo anche la Russia, con aiuti militari significativi. All’inizio delle operazioni di Mosca, in occidente si è paragonato l’intervento a quello condotto in Crimea nell’Ucraina orientale, ma qui le condizioni sono molto diverse. Se è vero che la Russia, ha, tra gli obiettivi principali, conservare l’unica base navale militare nel Mediterraneo, è altrettanto vero  che l’appoggio politico a Damasco non è mai cessato e negli interessi russi vi è una coincidenza profonda con le preoccupazioni americani riguardanti il terrorismo. Occorre infatti ricordare come molti effettivi stranieri dello Stato islamico provengano dalle regioni russe del Caucaso e si distinguano per essere tra i membri più fortemente ideologizzati e politicizzati, contraddistinti da una visione che mira ad esportare l’estremismo islamico nelle loro zone di origine. Vista sotto questa prospettiva la Russia andrebbe incontro a pericoli ben più immediati, del fenomeno del terrorismo interno, che gli stessi Stati Uniti. Le due super potenze, attualmente di nuovo divise come negli anni della guerra fredda, potrebbero così sviluppare sentimenti tutt’altro che contrapposti, tali da favorire un avvicinamento diplomatico in grado di sconfiggere il califfato. Se questa possibilità dovesse verificarsi Washington sarebbe in uno stato di maggiore debolezza rispetto a Mosca, proprio a causa della grande vicinanza tra la Siria di Assad e la Russia. Tuttavia una alleanza tra USA, Russia ed Iran potrebbe avere ragioni in tempi relativamente ragionevoli delle milizie del califfato. Per Washington il prezzo da pagare è duplice: da un lato certificare la presenza di Assad nonostante le brutalità compiute sul suo stesso popolo, dall’altra parte gestire un rapporto che diventerebbe sempre più complicato,  a causa del motivo precedente, con gli alleati sunniti, specialmente Arabia Saudita e Turchia, che pensavano di sfruttare l’occasione della guerra civile siriana per eliminare Assad dalla scena politica. A questa seconda  difficoltà gli americani dovranno fare fronte in maniera diplomatica, ricordando agli alleati di essere stati una delle causa della formazione del problema Stato islamico, mentre, sempre in maniera diplomatica, dovrà essere risolta la questione che si potrà presentare con una permanenza al potere di Assad, cercando di favorire una transizione di potere, che preservi le garanzie per Teheran e Mosca. 

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