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venerdì 4 settembre 2015
L'Ungheria problema all'interno dell'Unione Europea
Nell’Unione Europea esiste, in maniera sempre più rilevante, un problema Ungheria. L’atteggiamento del primo ministro Orban, dichiaratamente scettico sull’istituzione europea, non preoccupa per questo aspetto, comune ad altri leader politici europei, quanto per quello che sta attuando da quando è alla guida del suo paese. Siamo di fronte ad una miscela di rigurgiti nazionalisti, accompagnati da forte xenofobia, che ha prodotto leggi illiberali, come quella che tende a soffocare la libertà di stampa e quindi di critica, con il tentativo di ripristinare la pena di morte. L’attuale Ungheria è un paese da osservare con molta attenzione, perché potrebbe,purtroppo, rappresentare una triste finestra sul futuro, se la destra estrema andasse al potere in Francia o in Italia. Naturalmente, date le dimensioni e l’importanza ungherese nel complesso dell’Unione Europea, la rilevanza di quanto attuato a Budapest no è così importante come se accadesse a Roma o Parigi, tuttavia gli esempi forniti dal pese magiaro sembra che stiano andando troppo oltre le regole democratiche fissate da Bruxelles e l’Unione Europea farebbe bene a pensare sanzioni appropriate, da mettere in pratica, non solo per Budapest, ma per frenare in maniera anticipata tutti quei governi che tentassero di deragliare dalle norme di base attorno alle quali l’Europa è stata costituita. La questione dell’immigrazione, che rappresenta un problema organizzativo molto serio per l’Ungheria, è diventato il mezzo per propagandare sentimenti fortemente nazionalistici ed antidemocratici. Occorre ricordare che il primo ministro ungherese ha promosso persecuzioni contro la minoranza etnica dei gitani e su questa linea ha impostato l’accoglienza ai profughi siriani, colpevoli di volere invadere l’Europa in senso musulmano, anziché valutare che sono persone in fuga da un conflitto. Si capisce che questi espedienti vogliono creare una sorta di area protetta per le idee estremiste, non solo in senso metaforico ma anche materiale, come dimostra la costruzione del muro al confine con la Serbia. Gli stessi cittadini serbi sono discriminati, quando cercavano di entrare in Ungheria, perché potevano sottrarre il lavoro ai cittadini ungheresi. Questa impostazione appare molto vicina a quanto praticato da Putin in Russia, che si è concentrato sull’esaltazione nazionalistica del paese e sull’identità con la religione. Questa similitudine appare evidente ancora di più, se si pensa al contesto, quello europeo, in cui si attua la politica di Budapest. In nessun altro paese, vi è così lontananza dal contesto culturale che Budapest manda avanti, se confrontato con quello europeo, che pure ha subito delle deviazioni sostanziali in termini di solidarietà tra le nazioni, come accaduto per la crisi greca. In questo momento l’Ungheria è più regime, ancorché legittimamente eletto, che non vera democrazia, in quanto la maggioranza esercita un controllo troppo invadente della società del paese, in modo analogo a quanto accade in Russia. Il quesito è se l’Europa può tollerare questa situazione, restando indifferente a questa anomalia e lasciando così che il pericolo di un contagio possa avanzare anche su altri stati. Cosa che, per altro, sembra, almeno parzialmente accadere, con quanto altri stati dell’Europa dell’est hanno dimostrato di condividere con Budapest, sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei migranti. La situazione impone, quindi, una riflessione seria, soprattutto retroattiva, sui modi di inclusione delle entità statali all’interno dell’Unione Europea, avvenute, negli anni indietro su requisiti di convenienza economica e politica, piuttosto che di condivisione culturale effettiva. Si potrebbe ora tornare indietro? La domanda deve essere pertinente se si vuole assicurare un futuro all’Unione Europea, soprattutto di tipo politico e non soltanto economico. Risulta chiaro, infatti, che senza una adesione incondizionata ai principi costituenti di base dell’Europa unita, che sono poi quelli su cui poggia ogni democrazia matura, da parte degli stati membri, la via dell’unione politica risulta fortemente compromessa. Appare così necessario rivedere i trattati che regolano l’ingresso e la permanenza all’interno dell’Unione Europea, prevedendo meccanismi sanzionatori, in grado di arrivare fino all’espulsione, nei confronti di quegli stati che vogliano violare i diritti civili e democratici. Ciò dovrebbe essere messo in atto senza alcun timore di rinforzare possibili campi avversi, come la Russia, perché ciò sarebbe un male infinitamente minore che la probabile dissoluzione europea a causa del rafforzamento di principi antidemocratici all’interno dell’Unione Europea.
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