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lunedì 5 ottobre 2015

Israele vuole provocare la terza intifada?

Le voci che classificano come terza intifada le manifestazioni, anche violente, che si stanno verificando nei territori palestinesi, occupati dagli israeliani, dimostrano come la situazione stia di nuovo precipitando verso sviluppi pericolosi. Ancora una volta il premier di Tel Aviv si è detto disponibile ad una trattativa di pace con i palestinesi, ma a queste intenzioni non sembra credere più nessuno, neppure gli alleati storici di Israele: gli Stati Uniti. La dichiarazione del capo del governo israeliano si è inquadrata nella solita tattica di buone intenzioni mai supportate dai fatti, che, per molti ambienti palestinesi, vengono interpretate come vere e proprie provocazioni. Del resto ad inasprire il clima sono state diverse iniziative di polizia tese a soffocare qualsiasi rivolta, anche e sopratutto di tipo pacifico, per stroncare ogni possibile appoggio alla causa palestinese da parte dell’opinione pubblica internazionale e provocare la reazione dei gruppi o dei singoli più esasperati in modo da giustificare le dure repressioni, che vanno a colpire, in modo sempre maggiore la libertà di movimento delle persone e le loro proprietà, come le abitazioni che vengono distrutte per rappresaglie assurde, in modo da favorire, poi l’ulteriore espansione degli insediamenti. Il clima creato dal governo israeliano, formato da componenti della destra nazionalista, che non vuole riconoscere il diritto ai palestinesi di formare un proprio stato e che ambisce ai loro territori per aumentare la sovranità di Tel Aviv, sembra impostato sulla provocazione per generare una reazione, che possa consentire una repressione giustificata; se questo è vero, si comprende come le reali intenzioni  di Israele siano quelle di andare in senso contrario alla pace. Il leader dei palestinesi Abu Mazen si è sempre detto contrario alla violenza e fatica a mantenere un profilo basso: una reazione violenta dei palestinesi costituirebbe una sua perdita di autorità che ne potrebbe diminuire il prestigio accordatogli dall’opinione pubblica internazionale. Questo fatto potrebbe rientrare in un piano più ampio di Israele, per ridurre la pressione internazionale che il mondo diplomatico gli costringe a subire, mediante un isolamento sempre più crescente. La domanda centrale è perchè Israele ha accelerato in questo momento nelle provocazioni ai palestinesi? La mossa non sembra affatto concordata con Washington, che, con l’amministrazione Obama si è più volte impegnata per raggiungere una soluzione diplomatica definitiva al problema tra israeliani e palestinesi. Il momento favorevole per accelerare la politica repressiva di Tel Aviv sembra piuttosto essere l’impegno diretto assunto nel conflitto siriano da parte dei russi, che potrebbe favorire la permanenza al potere di Assad e l’arretramento militare, con conseguente ridimensionamento politico del gruppo Stato islamico. Non è un mistero che Israele non abbia mai giudicato in  modo positivo le primavere arabe, che potevano minacciare la sicurezza dello stato israeliano, atteggiamento confermato dai legami stretti con la dittatura militare egiziana, che ha stroncato la Fratellanza islamica, che mescolava in modo troppo rilevante la politica con una visione quasi estremista della religione. Se con Assad ufficialmente vi erano rapporti di inimicizia, in realtà in maniera ufficiosa i due paesi avevano trovato una convivenza pacifica e rispettosa dei rispettivi sistemi politici. Anche con la Russia, malgrado il confronto sempre più serrato tra Mosca e Washington, Israele ha sempre intrattenuto rapporti amichevoli e di collaborazione e la presenza delle forze armate del Cremlino oltre i confini nazionali è senz’altro vista in maniera positiva ed individuata come elemento di stabilizzazione della crisi. Per Israele è importante che il paese siriano non cada in mani sunnite, anche moderate, che potrebbero dare un appoggio, oltre che politico, anche materiale, alla causa palestinese.  Così con l’occidente impegnato ad inquadrare gli sviluppi della lotta al califfato, Tel Aviv sviluppa il suo piano per giustificare la sua espansione territoriale in spregio ad ogni convenienza politica, cercando di aumentare la quantità di territorio sottratto da presentare come status quo quando l’obiettivo dell’espansione sarà raggiunto.

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