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giovedì 22 ottobre 2015
Le incognite delle elezioni in Turchia
Le imminenti elezioni turche, che si svolgeranno il primo novembre prossimo, determineranno il futuro del paese, prima di tutto in campo interno e, di conseguenza, nell’atteggiamento che Ankara vorrà tenere nello scenario internazionale. L’attuale situazione appare di grande incertezza, nello stato turco gli equilibri costituzionali sono alterati e le regole di convivenza appaiono stravolte, in un crescendo di terrore e violenza, che sembra funzionale a condizionare la consultazione elettorale. Il grande protagonista e responsabile di questo stato di cose appare il presidente Erdogan, sempre più orientato a ristabilire quella che fu l’influenza dell’impero ottomano, verso l’estero, attraverso un pesante condizionamento della vita interna del paese, condotto su di una strada sempre più caratterizzata dalla negazione dei diritti civili e dal pesante condizionamento dell’elemento religioso nella vita sociale. Eppure, fino alla sua trasformazione relativamente recente in senso autoritario, il modello turco era indicato dagli occidentali, come un esempio da applicare alle trasformazioni politiche dei paesi arabi: una via che metteva insieme le regole democratiche, con una presenza religiosa moderata. In più il grande problema turco, legato al terrorismo curdo, sembrava avviato ad una risoluzione negoziata tra le due parti in modo pacifico, in modo da mettere fine al conflitto interno con una serie di concessioni in senso autonomista, seppure sempre all’interno del perimetro dello stato turco, per le popolazioni curde. Questi processi avrebbero dovuto garantire l’ingresso nell’Unione Europea, dove la Turchia sarebbe stata il primo membro musulmano. Il rifiuto di Bruxelles, basato peraltro su fatti oggettivi, come la mancanza dell’assicurazione del pieno godimento di diritti politici e civili, fattore che ha rappresentato alla fine un ostacolo insormontabile, ha creato nel governo turco un risentimento, che invece di cercare di adeguarsi agli standard richiesti dall’Unione Europea, ha condotto il paese verso ambizioni ormai al di fuori del momento storico attuale, come quella di volere esercitare una influenza sui paesi che prima facevano parte dell’impero ottomano e il tentativo di diventare una guida spirituale per i paesi che uscivano dalle primavere arabe, sostenendo la legittimità dell’invasione nel campo della politica dei movimenti islamisti sempre meno moderati. Se, all’inizio questo progetto poteva essere sostenuto da una situazione economica di notevole crescita, la contrazione dell’economia è diventato un ulteriore fattore di aggravamento interno. Le scelte internazionali sbagliate, come quella di sostenere i Fratelli musulmani o quella di finanziare i gruppi estremisti sunniti nella guerra siriana, da cui sarebbe poi nato lo Stato islamico, hanno portato il paese ad un isolamento internazionale a cui si è aggiunto un profondo dissenso interno, dovuto alla compressione dei costumi di una società fondamentalmente occidentale, a cui si è aggiunta una progressiva restrizione dei diritti, sopratutto della libertà di stampa e dell’esercizio dei diritti politici. Per cancellare questo dissenso ed uniformare il paese al suo volere, Erdogan ha elaborato il piano di convertire il sistema parlamentare in uno presidenziale, dove lui doveva ricoprire la massima carica del paese. Le ultime elezioni, però hanno visto l’affermazione di un partito curdo moderato, che è stato votato da tanti turchi contrari alle intenzioni di Erdogan, diventando il principale partito di opposizione del paese, riuscendo a superare l’elevata percentuale da raggiungere per entrare in parlamento. Per la Turchia è significato l’impossibilità di formare un nuovo esecutivo, ma sopratutto, per Erdogan e la sua formazione politica di non raggiungere la maggioranza assoluta per diventare una repubblica presidenziale. A questo punto nel paese turco si è attuata una strategia della tensione, che ha ricordato quella attuata negli anni 70 del secolo scorso in Italia, per limitare il consenso del partito moderato curdo, sempre più rappresentato come una organizzazione affiliata ai terroristi curdi. Ankara ha rivisto la sua politica verso il popolo curdo intensificando la repressione e colpendo, conla scusa della lotta allo stato islamico i suoi avamposti militari, sebbene fossero impegnati contro il califfato. Ma quello che più ha colpito l’opinione pubblica occidentale e mondiale, sono stati attentati di dubbia provenienza, che hanno colpito militanti pacifici del partito curdo moderato, senza che lo stato, per la verità onnipresente, compisse opera di prevenzione. Anche l’atteggiamento dei ministeri, in mano alla formazione di Erdogan, dopo gli attentati è stato fonte di dubbi per il suo comportamento. Pur non essendoci prove per il coinvolgimento diretto del governo nei gravi fatti accaduti, la diffidenza verso Ankara degli alleati occidentali è aumentata in maniera esponenziale, lasciando la Turchia in un pericoloso isolamento. I risultati che usciranno dalle urne possono, quindi, determinare una situazione di spaccatura nel paese, che appare sempre più diviso. Il timore che un ulteriore mancato raggiungimento della maggioranza assoluta possa portare il gruppo dirigente ad assumere decisioni in senso autoritario è concreto e la possibilità che il partito curdo moderato incrementi i suoi consensi pare abbia ampie possibilità di verificarsi. Per trovare una sintesi pacifica occorre che il partito di Erdogan rinunci alla sua intenzione del presidenzialismo ed affronti in modo pacifico le istanze che provengono dai settori più moderni della società turca: i giovani e le classi intellettuali, che ambiscono a fare diventare il paese turco una democrazia compiuta. L’esito delle elezioni,probabilmente, determinerà la necessità di un dialogo incentrato su riforme sostanziose, che dovrebbero vedere ridotta l’influenza religiosa, il ripristino dei diritti affievoliti, integrati da una espansione della libertà individuale e collettiva, come chiesto, tempo addietro dall’Unione Europea come requisito irrinunciabile per entrare in Europa. Ma se questa appare la strada più logica da seguire per permettere una evoluzione del paese, non è detto che Erdogan non si mantenga sulle sue posizioni esasperando la direzione già presa: in questo caso per la Turchia è atteso un periodo di grande difficoltà dove ogni equilibrio potrebbe saltare fino ad arrivare a scenari molto più gravi.
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