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giovedì 8 ottobre 2015
Merkel e Hollande difendono l'unità dell'Europa con soli discorsi di principio
Il discorso congiunto della cancelliera Merkel e del presidente Hollande davanti al parlamento europeo a Strasburgo è stato la constatazione dell’ovvio, della necessità, cioè, di avere una maggiore presenza dell’Unione Europea all’interno della stessa Europa. Si potrà dire meglio tardi che mai, ma senza fare seguire i fatti alle parole tutto sarà ancora una volta vano. I due statisti hanno accertato che nei paesi europei sta prevalendo la paura ed il sospetto verso Bruxelles e questi timori si sono ancora di più evidenziati con la crisi dei migranti, occasione nella quale l’Unione Europea si è fatta trovare colpevolmente impreparata. Limitare, però, alla sola motivazione dell’arrivo di una migrazione di grandi proporzioni, la sfiducia nell’istituzione europea appare molto riduttivo ed una analisi fortemente incompleta; si sarebbe dovuti partire dal modo con cui è stata affrontata la crisi economica, che ha determinato l’impoverimento di una larga parte della popolazione europea e quindi la grande insoddisfazione che ha aumentato a dismisura il fenomeno del populismo. La Merkel deve sentire una certa responsabilità nei confronti degli altri paesi per arrivare di fronte al parlamento in una posizione scomoda ma che propone un accordo di tipo elevato, basato, cioè, sui valori fondanti dell’Unione e non su meri calcoli finanziari, ma non da sola, bensì al fianco dell’alleato francese desideroso di una visibilità quasi riparatrice per un governo giudicato mediocre da più parti. I due capi di stato, aldilà dei discorsi pienamente condivisibili, non fanno una bella figura: la Merkel è compresa nella parte di capo dell’Europa, mentre Hollande, anzichè essere un socio alla pari, sembra il suo vice; del resto questa esibizione, che forse ha voluto essere di tipo politico, sottolienando la maggiore importanza dei due stati rispetto agli altri, è apparsa sconveniente, proprio perchè sbilanciata nell’esibire una sorta di supremazia. Che la Germania detenga questo primato, non ufficiale, ma effettivo, è cosa ormai ampiamente appurata, ma che la Francia si adegui a questa situazione costituisce una sorta di novità, che va in senso contrario a quanto finora si era compreso, con Parigi che pareva intenzionata a bilanciare il potere di Berlino. Se i discorsi contro la deriva nazionalista che sembra avere preso campo in Europa, sono largamente condivisibili, se non altro perchè non completare l’unità del continente risulta sicuramente anti economico, in un contesto sempre più globalizzato, dove l’unità europea appare come l’unico antidoto contro le grandi potenze economiche, alla teoria deve seguire una pratica totalmente differente nelle modalità di gestione di Bruxelles, improntate ad un maggiore coinvolgimento dei paesi membri ed un reale e quindi percebile miglioramento materiale delle condizioni di vita della base sociale europea. I privilegi finanziari dei grandi gruppi e dei gruppi sociali ristretti che detengono la maggiore parte di reddito europeo devono essere infranti a favore di una efficace redistribuzione, in grado di essere anche un volano economico per il mercato interno. Solo così è possibile fornire quella speranza che la Merkel ritiene, giustamente, necessaria a supportare le aspirazioni dei ceti sociali che più di tutti hanno pagato il prezzo di una crisi di cui erano tutt’altro che responsabili. In questo modo garantire l’accoglienza e l’integrazione dei migranti sarà, nono solo più facile ed agevole, ma diventerà veramente uno strumento di crescita continentale. Ben diverso è chiedere ulteriori sacrifici, seppure necessari, in un contesto di contrazione economica e del welfare a cui i paesi europei sottopongono i loro cittadini in nome della solita rigidità finanziaria, funzionale sopratutto al bilancio tedesco. I discorsi dei due leader sono stati applauditi dai parlamentari di Strasburgo, ma in un modo freddo, proprio perchè non comprendevano, oltre alle parti di principio, le soluzioni pratiche per attuarle; questo potrebbe essere interpretato come un segnale di debolezza, sebbene in un quadro generale di basso livello politico, e favorire ancora di più la forza dei movimenti populisti e nazionalisti, in molti casi visti come ultimo rimedio da una vasta parte del corpo elettorale europeo. La necessità di più Europa rimane, ma comprende, tra le varie motivazioni, al primo posto il bisogno di una politica europea equamente distribuita tra gli stati membri, che devono avere determinate garanzie legali (mai più ammettere membri come l’Ungheria) e possibilità sanzionatorie che devono comprendere anche l’espulsione; dotare gli organismi comunitari di reale forza, non solo legislativa, ma sopratutto di capacità di intervento politico, che sappia superare anche la sovranità statale, ma senza che questa sia esercitata da un solo membro o da un gruppo di membri ristretti. Devono essere questi gli argomenti con i quali conquistare i cittadini europei non solo vaghi discorsi ai quali non segue mai reale applicazione.
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