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mercoledì 4 novembre 2015

La pressione dei migranti è destinata ad aumentare e mette a rischio la stabilità dei paesi balcanici

Secondo il responsabile della sorveglianza europea dell'agenzia delle frontiere, il numero di migranti entrati nell’Unione Europea sarebbe di 800.00 persone. I motivi di questa migrazione, di proporzioni bibliche sono quelli già noti negli anni precedenti: carenze economiche nei paesi di origine, aggravate da condizioni di carestia e terrorismo, con conseguente grave instabilità politica, a cui si sono aggiunti i gravi effetti della guerra civile siriana e della presenza dell’organizzazione dello Stato islamico in varie zone dell’Irak. All’interno di questo conteggio, quindi, vi sono molte persone costrette a fuggire da una condizione di guerra permanente che ne fa dei rifugiati, assumendo, così, uno status che dovrebbe implicare una particolare protezione nei paesi di arrivo. Ciò non avviene per una impreparazione sorprendente in cui sono incorsi i paesi europei appartenenti all’Unione ed anche quelli che non ne fanno parte, scatenando pesanti contrasti tra le nazioni confinanti attraversate dalla rotta dei migranti. Sopratutto la strada che viene percorsa attraverso i balcani ha presentato le maggiori emergenze. Mentre la via del mediterraneo, che parte dalla Libia, ma anche da altri paesi del nord africa ha come approdo l’Italia, che può offrire una assistenza più elevata a coloro che riescono a raggiungere le coste, presenta un elevato rischio di naufragi, la via balcanica ha un rischio più contenuto di questo tipo, limitato soltanto alla traversata tra la Grecia e la Turchia, dove, peraltro, si sono verificate diverse vittime. L’apertura di una sorta di corridoio forzato da parte della pressione migratoria attraverso i paesi posti ad oriente del mare Adriatico, ha messo in risalto tutte le difficoltà di una accoglienza non prevista e non gradita, che ha provocato gravi contrasti tra i paesi dell’europa orientale e quella occidentale. La situazione resta di grande tensione per accordi raggiunti largamente insufficienti e, sopratutto, incapaci di programmare le future emergenze. Secondo il capo della sorveglianza di dell’agenzia europea delle frontiere, l’elevato numero dei migranti è destinato a salire perchè i numeri registrati non rappresentano ancora l’apice della curva dei migranti che proveranno ad entrare in Europa. La previsione è di un aggravamento della situazione nei prossimi mesi, coincidenti anche con un peggioramento delle condizioni climatiche, che esporranno i migranti alle rigidità invernali e che causeranno, di conseguenza, la necessità di un maggiore impegno dei paesi attraversati dal cammino dei migranti. Questo fattore, in una situazione che manca di una regolamentazione condivisa, rischia di creare pesanti contrasti tra gli stati confinanti, anche in zone in passato attraversate da conflitti e degenerare in modo pericoloso. Il pericolo concreto è che i migranti si trovino in mezzo a scontri di tipo militare tra nazioni che vogliono tenere chiuse le frontiere con quelle che le vogliono aperte, il tutto per liberarsi di masse di migranti sempre più numerose. La legislazione vigente prevede di rimandare al paese di origine il clandestino che non è provvisto di status di rifugiato, nel tempo massimo di diciotto mesi. Ma problemi organizzativi e di coordinamento tra gli stati dell’Unione rendono vana, nella maggiore parte dei casi, questa disposizione, mentre i calcoli delle previsioni degli arrivi, indicano chiaramente che Italia e Grecia, senza adeguati aiuti non riusciranno ad assorbire gli arrivi. Secondo il trattato di Dublino il paese di arrivo dei clandestini dovrebbe essere quello che deve farsi carico dell’accoglienza, ma l’evoluzione dei fatti ha reso sorpassata una norma pensata in condizioni del tutto differenti, creando una necessità della revisione del trattato; revisione a cui si oppongono, nei fatti e nei comportamenti, sopratutto i paesi dell’Europa orientale. Se dovessero permanere gli attuali atteggiamenti verso l’accoglienza dei migranti, trattato non come problema globale dell’Unione Europea, la crisi verso cui precipiterebbe Bruxelles, può apparire ben poca cosa, rispetto a possibili conflitti potenzialmente verificabili sopratutto tra i paesi balcanici.

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