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martedì 17 novembre 2015
Le differenze della strategia dello Stato islamico rispetto ad Al Qaeda
I recenti attentati che lo Stato islamico ha compiuto al di fuori dei propri confini hanno un preciso significato strategico militare, forse ancora più che politico. All’inizio della comparsa del califfato, questa organizzazione, si è differenziata in modo netto da Al Qaeda, fino ad allora la formazione del terrorismo islamico più importante per l’obiettivo che perseguiva e, cioè, la creazione di un territorio posto sotto la sua sovranità, un vero e proprio stato governato dalla legge islamica interpretata nella maniera più radicale, da proporre come esempio per tutti i musulmani del mondo. Perseguire questo obiettivo in modo pacifico era logicamente impossibile, ma l’impiego delle armi doveva avvenire entro limiti ben definiti: quelli individuati all’interno dei confini siriani ed irakeni, che hanno dato vita all’iniziale stato islamico dell’Iraq e del levante, poi diventato semplicemente Stato islamico o califfato. Al contrario, Al Qaeda non ha mai dimostrato di avere le ambizioni di creare un proprio stato, ma di essere una organizzazione terroristica che individuava l’affermazione dell’islamismo radicale attraverso gli atti terroristici compiuti direttamente entro i confini dei suoi nemici, individuati nell’occidente. Se, inizialmente questa modalità di azione aveva riscosso consenso tra i musulmani radicali, la visione generale è sempre stata viziata da una limitazione dell’orizzonte dell’obiettivo, che è parso sempre troppo ristretto. Al Qaeda, in sostanza, è andata bene, nell’ambito dell’estremismo religioso, finchè non è comparso un altro soggetto, che ha presentato un obiettivo più ambizioso. Questo dualismo non è nato per caso, ma è maturato nel tempo, proprio all’interno di Al Qaeda, dove personaggi insoddisfatti di questa limitazione, hanno operato un distacco, individuando la possibilità di sfruttare larghi settori sociali, inizialmente situati principalmente in Iraq, caratterizzati dalla profonda insoddisfazione della gestione del processo politico di passagio che ha contraddistinto il dopo Saddam Hussein. Questa pessima gestione, imputabile largamente agli statunitensi ha favorito la parte sciita su quella sunnita, fino ad allora dominante, senza un’equa redistribuzione del potere, che è stato consegnato totalmente alla parte del paese irakeno di religione sciita. La profonda avversione che ne è conseguita nei gruppi tribali sunniti e nelle parti restanti del partito Bath, l’unica formazione politica ammessa nell’Iraq di Saddam Hussein, ha costituito la base per la creazione dello Stato islamico. Un analogo percorso si è compiuto in Siria, dove gli estremisti divisi in varie formazioni, hanno subito il fascino della politica proveniente dall’Iraq, che propagandava la creazione di un nuovo califfato di matrice sunnita. Con queste premesse si comprende come l’azione militare dovesse concentrarsi nei territori, che dovevano essere conquistati alla causa. Lo Stato islamico, pur non nascondendo la profonda avversione all’occidente ed agli stessi musulmani il cui atteggiamento verso la religione veniva considerato tiepido, non hanno mostrato alcun interesse a compiere azioni militari al di fuori del perimetro che si erano assegnati. La situazione è cambiata profondamente con gli interventi di potenze straniere contro le milizie che combattevano sotto le bandiere nere del califfato e venivano a costituire un ostacolo all’ampliamento ed al radicamento dello Stato islamico. Questo scenario è alla base del cambiamento di strategia militare dello Stato islamico, che ha colpito Ankara, Beirut, la Russia, tramite l’attentato all’aereo russo e la Francia. Altri attentati si sono ripetuti a Bagdad, ma non sono da fare rientrare nel cambio di strategia, perchè la capitale irakena è dall’inizio negli obiettivi espansionistici del califfato e rappresenta il primo nemico da combattere per l’esercizio della sovranità nel territorio sottratto all’Iraq. Gli altri paesi colpiti rientrano in una logica di ritorsione per l’impiego di propri combattenti contro le armate dello Stato islamico. Certamente per l’occidente ha maggiore rilievo mediatico, certamente in modo non giusto, un attentato compiuto a Parigi, o anche contro l’aereo russo, rispetto a quello di Beirut o anche quello di Ankara, ma l’indicazione che lo Stato islamico vuole dare è univoca: i paesi sono stati colpiti per dissuaderli da continuare a combattere il califfato. Un ulteriore elemento a sostegno di questa tesi è l’assenza della retorica di Al Qaeda, che presentava i propri attentati come conseguenza di uno scontro di civiltà, mettendo spesso nella causale di rivendicazione l’obiettivo irraggiungibile dell’annientamento dell’occidente. Per ora lo Stato islamico è lontano da questo piano di lettura, in futuro se, malauguratamente, dovesse riuscire a raggiungere il suo obiettivo di stabilità di paese con la sharia, potrebbe tentare di darsi una dimensione più ambiziosa, ma per il momento il suo orizzonte è racchiuso nei confini che si è dato. Questa considerazione non è però affatto rassicurante: lo Stato islamico è l’unica formazione terroristica al mondo ad essere riuscita ad imporre una sovranità paragonabile a quella di una entità statale nel mondo. La forza militare che detiene e la capacità di mobilitazione fuori dai propri confini ha dato prova di assoluta efficienza ed in ultima analisi di essere un nemico più temibile di Al Qaeda, perchè più strutturato e con obiettivi più ambiziosi, tuttavia queste considerazioni sono fatte anche dai componenti della stessa Al Qaeda, che non sono stati ancora in grado di elaborare una strategia alternativa per la supremazia nella galassia fondamentalista islamica. Il rischio concreto è che, per dare una prova ed anche di esistenza, Al Qaeda effettui una azione che rientra nella sua tradizione, e cioè, effettuare analoghi attentati contro l’occidente, per soddisfare quella parte di estremismo che gradisce vedere colpire gli occidentali. Questo rischio non è da sottovalutare perchè la competizione tra le due anime del fondamentalismo è ancora forte, anche se alcuni analisti hanno sottolineato come sia in corso il dibattito per una eventuale fusione, in conseguenza di valutazioni di opportunità militare, tra i due gruppi.
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