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lunedì 2 novembre 2015

Turchia Erdogan vince le elezioni.

Il risultato delle elezioni turche, che ha visto la vittoria della formazione di Erdogan con il 49,4% dei voti, è la conseguenza di più fattori, che hanno condizionato la competizione elettorale. Il più eclatante è che il  popolo turco ha scelto una strada verso quella che sembra essere stata percepita come una assicurazione di un maggiore equilibrio interno, attraverso una maggiore governabilità assicurata dalla stabilità che deriva dal potere elettorale ottenuto dal partito di governo. Ai turchi è sembrato che una affermazione di Erdogan possa garantire un maggiore sviluppo economico ed una adeguata protezione dal terrorismo, lasciando, però, in sospeso le questioni internazionali, che non potranno non avere ripercussioni sul paese. La vittoria di Erdogan potrebbe significare una ripresa dei contrasti con i movimenti curdi, che potrebbero ritornare ad una lotta terroristica più sistematica in risposta alle restrizione che dovrebbero arrivare ai diritti del popolo curdo da parte del governo, una ulteriore compressione dei diritti, riportando ancora più indietro l’orologio della storia in Turchia, sopratutto nella materia delle conquiste sociali. Del resto l’affermazione del Partito della Giustizia e dello Sviluppo è maturata nei contesti rurali, quelli meno sensibili alle istanze laiche della società, mentre negli agglomerati urbani il gradimento verso il partito del presidente è stato nettamente minore. Il paese prende una direzione di sempre maggiore invadenza dell’elemento religioso all’interno del contesto politico, mischiato ad un crescente nazionalismo, che mira a riportare la Turchia ai fasti dell’impero ottomano. Particolarmente significativo il primo gesto che ha seguito la proclamazione dei risultati, compiuto da Erdogan, che si è recato a pregare nella moschea di Eyup, come facevano i sultani ottomani appena dopo la loro proclamazione. Questa immedesimazione nelle massime espressioni dell’impero ottomano sembra assumere un qualcosa di patologico, oltre a volere diventare un aspetto simbolico determinante per la parte nazionalista del paese; infatti il partito nazionalista ha subito proprio una considerevole emorragia di voti a favore del partito di Erdogan, ormai individuato in quella parte di elettorato, come rappresentante di una maggiore garanzia per l’affermazione dell’identità turca, anche nei confronti della scena internazionale, che non ha risparmiato critiche agli atteggiamenti autoritari del presidente della Turchia. Anche i festeggiamenti della fratellanza musulmana indicano chiaramente come l’aspetto religioso crescerà di peso nella società turca, impedendo quella trasformazione in paese moderno, a lungo inseguita cai ceti metropolitani. Erdogan sembra ricalcare lo schema applicato da Putin, su di una scala regionale più circoscritta, ma che presenta forti anomalie con la scalata dell’inquilino del Cremlino: una gran dose di nazionalismo, volontà di influenza su paesi già appartenenti all’impero ottomano, grande importanza del fattore religioso, in Turchia l’islamismo, in Russia la chiesa ortodossa. In ogni caso il successo di Erdogan non è però completo, perchè il risultato elettorale non gli permette di cambiare l’assetto istituzionale da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale. Questo aspetto, taciuto dalla stampa filogovernativa, potrebbe inasprire i rapporti con le altre forze politiche, colpevoli di avere ostacolato il disegno presidenzialista e potrebbe alterare quegli equilibri, che il voto elettorale sembra dare per scontati. Sul piano internazionale si presenteranno le maggiori difficoltà per gli alleati della Turchia, come gli USA, che dovranno tenere a freno le mire turche sulla Siria, evitando un pericoloso confronto con la Russia e l’Iran; per Washington aumenterà uno sforzo di mediazione che si annunciava già problematico senza che Erdogan ottenesse un tale successo elettorale. Ancora più difficoltosi si annunciano i rapporti con l’Unione Europea, che malgrado gli sforzi della Merkel, potrà tenere con la Turchia soltanto rapporti di buon vicinato e di collaborazione, sopratutto sul problema dei migranti, ma che non potrà accontentare le ambizioni dell’Ankara per un ingresso a Bruxelles, visti gli standard totalmente inadeguati sul tema del rispetto dei diritti all’interno dello stato turco.  

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