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venerdì 8 gennaio 2016

La Terra esce dalla era geologica dell'olocene

La notizia che sarebbe terminato il periodo geologico attuale, l'olocene, iniziato 11.700 anni fa, proviene da studiosi inglesi ed è destinata a rendere sorpassato ogni accordo sul clima e, se compresa nella giusta misura, a provocare una profonda revisione nell’organizzazione sociale del mondo. Le ragioni della fine dell’era geologica attuale sono da individuare tutte nel comportamento dell’uomo e nell’eccessiva antropizzazione del pianeta, sottoposto ad un grande stress a causa della eccessiva diffusione dell’inquinamento. Alla nuova era geologica in cui saremmo entrati non è ancora stato dato un nome, ma le caratteristiche ambientali sono analoghe a quando la terra passo dal pleistocene ad, appunto, all’olocene: una situazione caratterizzata da glaciazioni, ma anche da profonde differenze di temperatura, capaci di generare un riscaldamento globale più rilevante, come sta accadendo oggi. Il fatto che l’intera umanità si sia sviluppata all’interno dell’olocene, rende ancora più rilevante la sua fine, aprendo grandi incognite sul suo futuro. Quello che appare è che è necessaria una profonda trasformazione dei rapporti di produzione, sia nelle modalità, che nelle quantità e che la misurazione del prodotto interno lordo per quantificare il successo di una nazione assume una valenza pericolosa, se collegato alla distruzione ambientale dovuta all’incremento dell’industrializzazione, avvenuta senza i dovuti limiti, capaci di impedire il profondo deterioramento climatico. Questa notizia valica le emergenze immediate, fatte di disastri naturali e dell’incremento di pericolose malattie, che devono essere inquadrate soltanto come cause contingenti e anticipatrici di un futuro ben peggiore. La situazione attuale è condizionata profondamente dall’innalzamento delle temperatura che resta il punto centrale sul quale agire, tuttavia i limiti temporali entro i quali intervenire, che si sono posti i rappresentanti delle nazioni, appaiono troppo tardivi e comunque sembrano una soluzione parziale ad un problema che investe la sfera sociale e l’organizzazione della produzione e la finanza a livello mondiale. Occorre rivedere i progetti a breve e medio termine per abbracciare una filosofia di programmazione capace di progettare su archi temporali anche basati sui secoli, per avviare una fase in grado di invertire la trasformazione del pianeta. Certamente per fare ciò occorre una unità di intenti che travalichi i confini e gli interessi nazionali e non venga vista come una mera volontà ambientalista, ma come una volontà di sopravvivenza, prima e di conservazione poi. In un questo quadro le strutture sociali attuali appaiono inadeguate per gestire un processo di tale novità; l’obiettivo dovrebbe essere quello di non essere investiti, nel giro di qualche generazione, da una situazione di estrema emergenza in grado da mettere in pericolo la sopravvivenza del genere umano. Alla base di questa revisione sociale dovrebbe esserci una redistribuzione del reddito totale basata su una divisione in grado di affrontare per prima cosa le emergenze naturali, come le catastrofi climatiche e le carestie, in modo da consentire il presidio di ogni zona del pianeta in modo funzionale alla preservazione dell’ambiente naturale e poi in maniera tale da consentire il mantenimento delle condizioni pensate per arginare il deterioramento del pianeta, da cui partire per inaugurare un ciclo virtuoso di rigenerazione. Risulta chiaro che gran parte della struttura industriale dovrebbe essere distrutta, tranne quella da convertire nella protezione del pianeta, ciò non vuole dire inaugurare una era di povertà, ma soltanto un consumo differente attuato mediante produzioni basate su criteri totalmente opposti agli attuali. Una ripresa dell’agricoltura effettuata in maniera ciclica e non intensiva, così come dell’allevamento ed un diverso uso, più intelligente, delle nuove teconologie, non certo basato sui criteri della massima produttività, potrebbero costituire le basi di partenza per una diversa economia in grado di garantire la conservazione dell’ambiente. Certo senza una autorità sovrastatale con poteri adeguati di sovranità è impossibile rompere l’ostracismo che la grande finanza e l’industria impongono attraverso i conflitti statali, che partono dalle diatribe diplomatiche ed arrivano, anche attraverso le guerre religiose, ai confronti armati. In questa fase il mondo è occupato in questioni, che pur di grande importanza, sono divisive e gli interessi particolari delle nazioni non permettono una visuale distinta di pericoli incombenti ancora maggiori di quelli attuali, o, forse, quelli attuali sono soltanto la misura reale ed effettiva della poca lungimiranza di chi detiene il potere. A tutti i livelli.

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