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giovedì 4 febbraio 2016
Le difficoltà della Giordania nella gestione dei profughi e le inefficienze occidentali
Mentre l’Unione Europea discute sugli aiuti finanziari alla Turchia, in una prospettiva funzionale non alla risoluzione del problema generale dei profughi siriani, ma solo nell’ottica di appianare le divergenze tra i membri interni europei, la Giordania lamenta la gestione di una situazione sull’orlo del collasso dal punto di vista dell’accoglienza dei siriani in fuga dalla guerra. La necessità di un sostegno materiale e finanziario non è rivolta soltanto all’Europa, ma al mondo intero. La disponibilità politica ed umanitaria del paese giordano ad accogliere i profughi è fuori discussione, quello che stanno iniziando a mancare sono le risorse per continuare a praticare questa assistenza. Il volume dei profughi accolti dal regno giordano è stimato in circa 600.000 persone, in un paese che conta una popolazione appena oltre i 6.000.000 di abitanti, con un rapporto quindi di un profugo ogni 10 abitanti, una proporzione impossibile da concepire nel ricco occidente. La difficoltà della gestione di questa massa di persone dal punto di vista pratico, che va inevitabilmente ad investire le problematiche sanitarie e di ordine pubblico, sono enormi e richiedono risorse di cui la Giordania non può disporre e che dovrebbero essere assicurate dalle Nazioni Unite, sotto cui l’egida rientrano i campi profughi. Il pericolo concreto è la Giordania non riesca più a fare fronte alle esigenze, anche limitate, dei profughi e questi lascino il paese intraprendendo la rotta migratoria verso occidente. La situazione, oltre che drammatica, sta diventando paradossale: ad una piccola nazione, con un prodotto interno lordo limitato, che vede una somma di circa 4.000 dollari pro capite annui, deve farsi carico della gran parte di un problema da cui i paesi ricchi cercano di sottrarsi. Quello che può succedere è una ricaduta sugli equilibri del paese e degli stessi insediamenti, dove i profughi vivono in condizione al limite della possibilità umana; nello stesso tempo le risorse sottratte al paese per adempiere a questa accoglienza creano problemi alla stessa economia giordana, sempre più privata di risorse. Occorre riflettere su come l’occidente ha affrontato, senza alcuna pianificazione, sia il conflitto tra Israele e Palestina (che ha generato prima della guerra siriana diversi profughi verso la Giordania), sia i disordini medio orientali, che hanno provocato una fuga di massa da quelle regioni attraversate dal conflitto. L’impreparazione occidentale, ad un fenomeno così prevedibile, è fonte di grande imbarazzo e fornisce una sensazione di dilettantismo dei governanti, ma ancora peggio è perseverare nell’errore, senza una adeguata politica di accoglienza e di sostegno a quegli stati che possono supplire, anche con i pochi mezzi a disposizione, le inefficienze occidentali. Certo questa è soltanto una parte del problema, tuttavia permette di comprendere il perchè dello stato di profonda inadeguatezza in cui vivono gli stati occidentali riguardo ai problemi dei profughi e della guerra mediorientale, nello specifico, e circa la politica internazionale, più in generale. Il risultato è che i cosidetti paesi ricchi non riescono neppure a delegare altre nazioni in compiti che potrebbero assolvere tranquillamente con la loro disponibilità economica, che non si vuole neppure investire per evitare problemi capaci di alterare gli equilibri interni. Il caso europeo è di esempio: ad una mancata programmazione e previsione del fenomeno e seguita una gestione, se possibile, ancora peggiore, che sta rischiando di compromettere l’ordine dell’unione e che ha fatto affiorare in modo chiaro come i fondamenti di Bruxelles non siano condivisi da tutti i membri. La miopia delle istituzioni centrali e degli stati più importanti è stata una causa concorrente a questo stato di cose, insieme agli atteggiamenti avversi degli stati orientali e della Gran Bretagna. Ma ciò è vero anche per gli Stati Uniti, che non hanno previsto una politica di accoglienza neppure abbozzata. Quello che emerge è che questa condotta contribuisce ad alimentare il caos mondiale in uno scenario in continua evoluzione, caratterizzato quasi del tutto, dall’assenza di punti fermi nella scena diplomatica globale.
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