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venerdì 11 marzo 2016

Tensioni politiche tra gli stati europei per l'accordo con la Turchia

L'accordo, non ancora ratificato con la Turchia, sulla gestione dei migranti, solleva molti dubbi di legittimità e di opportunità da parte di vari stati dell’Unione Europea. Aldilà delle considerazioni di carattere morale ed umanitario, uno degli argomenti che suscitano parecchia perplessità è il rapporto costi – benefici, che potrebbe derivare dall’accordo con Ankara. Infatti è risaputo che l’obiettivo turco è la liberalizzazione della circolazione nell’Unione Europea, come primo passo, per poi arrivare a riaprire e concludere positivamente il processo di adesione a Bruxelles. Gli stati europei sono consci della mancanza di requisiti della Turchia per entrare in Europa, ma sono anche combattuti sul come risolvere il problema migratorio, che non hanno saputo prevedere; questo alternanza di sentimenti, peraltro non condivisa da tutti, sta creando ulteriori fratture in seno all’Unione Europea ed, aldilà di possibili compromessi, segnala che il punto più basso dei rapporti tra gli stati non è ancora stato raggiunto. Vi è poi, il paradosso di potere essere sanzionati dalle Nazioni Unite, in quanto il contenuto dell’accordo che prevede espulsioni di massa di rifugiati, che verrebbero rimandati sul territorio turco, appare illegale. Se l’Unione Europea dovesse incorrere in questa violazione verrebbero meno le ragioni stesse della sua esistenza, certamente non giustificabile soltanto con un accordo monetario, capace soltanto di creare vincoli di bilancio irragionevoli. Tuttavia, anche di fronte a queste obiezioni, l’atteggiamento dei paesi orientali e dell’Austria continua ad essere di chiusura totale verso una redistribuzione dei profughi che potrebbe risparmiare all’Europa la pessima figura che sta facendo di fronte al mondo. D’altra parte l’apertura della circolazione nell’area di Schengen anche ai turchi preoccupa gli stessi stati dell’Europa orientale, che si vedono in difficoltà per avere sollecitato una risoluzione di cui non avevano, presumibilmente, valutato tutti gli effetti e le controindicazioni. Inoltre, dopo la minaccia di sospendere glia iuti economici dell’unione verso i paesi orientali, si aggiunta la possibilità di fare una chiusura parziale dell’area di Schengen, da applicare a quei paesi che non vogliono accogliere i profughi. Questa soluzione permetterebbe finalmente di separare gli stati che hanno una adesione più sincera ai principi comunitari, rispetto a chi vi si è unito per pura convenienza. Come le possibilità di interrompere i fondi, anche quella di interrompere la libera circolazione ha suscitato dure proteste da parte dei paesi dell’Europa orientale e dell’Austria, dimostrando come il loro atteggiamento sia frutto di pura ipocrisia. La loro intenzione è quella di lasciare ad altri stati l’onere del soccorso e dell’accoglienza dei profughi, magari favorendo la creazione di percorsi alternativi che eliminino i loro territori dalle rotte delle migrazioni, pur mantenendo i vantaggi dell’adesione a Bruxelles. Si tratta dell’ennesima prova della necessità di una rifondazione dell’Unione su termini più stringenti ed obblighi più cogenti soltanto ai quali possono corrispondere i vantaggi attuali, troppo estesi, senza alcuna ragionevolezza evidente. Lo scenario attuale deve imporre anche una seria riflessione sull’opportunità di avere rapporti così stretti con stati così illiberali, come la Turchia attuale, il cui problema non è soltanto il pur gravissimo, trattamento riservato alla stampa con la conseguente negazione dei diritti civili, ma anche la condotta tenuta nei confronti dello Stato islamico, contraddistinta da forti ambiguità. Resta però il problema della gestione dei rifugiati, che sembra destinato ad aumentare se non si formeranno le condizioni per queste migrazioni bibliche. Occorrono investimenti ingenti per dare una accoglienza dignitosa, ma controllata, ai profughi che fuggono da guerre e questa liquidità può essere stornata dai contributi destinati agli stati contrari all’accoglienza, ma, di pari, passo, occorre una forte ed autorevole presenza diplomatica nei luoghi di guerra, in grado di fermare i conflitti e, di conseguenza le migrazioni, che gli eventi bellici hanno provocato.

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