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giovedì 21 aprile 2016

Obama in Arabia Saudita. Un paese con un ruolo dubbio nello scenario internazionale

La visita di Barack Obama in Arabia Saudita si compie in un periodo in cui i rapporti tra i due stati si sono notevolmente raffreddati. Nonostante la fama di Riyadh come maggiore alleato degli occidentali nel Golfo, gli interrogativi circa il ruolo dei sauditi come finanziatori del terrorismo ha preso il sopravvento tra gli americani, in particolare, e gli occidentali, in generale. Dagli attentati dell’undici settembre aleggiano sull’Arabia Saudita, più di un sospetto, nonostante l’inchiesta americana abbia sostanzialmente scagionato i sauditi; tuttavia esistono alcune parti dell’inchiesta ancora tenute segrete, dove potrebbero essere indicati funzionari dell’Arabia Saudita implicati negli atti terroristici. Se queste voci non sono state provate, e quindi non possono influire sui rapporti tra Washington e Riyadh, l’influenza politica e gli aiuti economici a diverse formazioni estremiste islamiche sembrano essere accertati; del resto la politica internazionale dell’Arabia Saudita è contraddistinta da una lotta senza esclusione di colpi contro i moderati e gli sciiti mediorientali, in una continua volontà di affermazione del loro ruolo di  guida religiosa e politica del mondo sunnita. Questa tendenza non è una novità degli ultimi tempi, ma risale anche a prima delle primavere arabe, che potevano sviluppare un senso democratico nella popolazione e sono, invece, state indirizzate nell’affermazione dell’islamismo come soggetto politico e nella identità tra legge statale e legge islamica. Non si può non vedere in questo programma ben pianificato, un progetto di affermazione dell’islamismo più retrivo, capace di riempire il vuoto politico lasciato dalla caduta delle dittature, con una ideale unione del mondo sunnita in una sorta di confederazione religiosa. Esiste un evidente contrasto nell’essere alleati degli americani, sopratutto degli Stati Uniti di Obama, ed avere  garantito il sostegno ai talebani afghani, ad Al Qaeda ed allo Stato islamico.  Certo se si pensa all’errore di George Bush, che aveva individuato in Saddam Hussein il vero nemico dell’occidente, non si può non arrivare alla conclusione che l’allora Presidente degli Stati Uniti fosse un incompetente o che fosse usato da qualche altra potenza straniera per destabilizzare il paese irakeno, da cui ha preso poi il via il soggetto Stato islamico come entità statale sovrana autoproclamata. Non che Saddam Hussein non fosse un tiranno da combattere, come lo erano Gheddafi e Mubarak, ma da come si sono svolti i fatti e l’instabilità generale che si è venuta a creare, occorre chiedersi a chi è convenuto l’attuale stato di cose. Resta innegabile che l’occidente è sotto pressione sia per il terrorismo, che per il fenomeno migratorio regolato ad arte per creare scompiglio e mancanza di equilibrio negli stati europei ed all’interno della stessa Unione Europea. Quello a cui si assiste è uno scenario con troppe coincidenze verificate per essere considerate tali. Ci sono state variabili che potevano indirizzarsi in tutt’altra maniera, ma che, al contrario, convergono tutte a concorrere alla creazione di uno stato di profonda insicurezza. Se poi si pensa a come è gestito il potere in Arabia Saudita, ma anche in Egitto e Turchia, in maniera sempre più assolutista e con un uso indiscriminato della forza e della violenza, senza che alcun diritto civile sia effettivamente garantito, non si può non interrogarsi sulle probabilità che questi metodi possano venire esportati. Per l’occidente però, esiste sempre il dubbio che un eventuale sostituto dei regimi sia peggio di quello precedente. L’esperienza egiziana, ma anche quella libica, hanno frenato un diverso approccio al regime saudita, nonostante il discredito internazionale a cui è andato incontro. Tuttavia l’atteggiamento è ancora troppo accondiscendente ed i primi a mantenersi su questo livello sono proprio gli americani, nonostante il livello dell’alleanza sia sceso per l’atteggiamento saudita verso lo Stato islamico e per l’avvicinamento all’Iran, fonte di profondi contrasto tra Washington e Riyadh. Certamente l’Arabia Saudita dispone di una liquidità economica capace di incrementare diversi investimenti, ma l’aspetto economico è ancora troppo considerato rispetto alla convenienza effettiva di quello politico: cioè nel lungo periodo non prendere le distanze da questi regimi non esporrà l’occidente ad una sempre maggiore ricattabilità sopratutto nelle questioni geopolitiche? Si tratta di questioni non da poco , dato che sono quelle che influenzeranno la storia futura e, per questo, dovrebbero essere analizzate con particolare accuratezza. Per quanto riguarda Obama, ormai alla fine del suo mandato sembra essere più interessato ad assicurare al suo successore, chiunque sarà, un mantenimento dello status quo da cui ripartire, un rinvio della decisione sulla quale decidere quale atteggiamento dovranno prendere gli Stati Uniti, verso questi regimi sempre più confessionali e sul quale saranno, verosimilmente, seguiti dagli alleati occidentali.

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