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giovedì 26 maggio 2016
Europa: la riduzione della democrazia favorisce la destra
I poco più di 31.000 voti che hanno impedito la vittoria dell’estrema destra austriaca rappresentano l’ennesimo segnale di allarme per l’Europa; la constatazione è scontata ed anche ovvia, ma deve anche essere un punto di partenza per una riflessione più ampia. Il successo dei movimenti anti europei è un fenomeno che il problema migratorio ha soltanto accentuato, ma che era ben presente già prima, grazie ad una politica troppo liberista, imperniata sulla gestione della finanza ed a favore degli istituti creditizi e delle loro speculazioni, il cui costo è ricaduto su imprese e famiglie costrette alla crisi. Oltre questa dimensione non è stata abbastanza indagata la compressione che i processi democratici hanno registrato in favore di una sempre maggiore instaurazione di regimi tecnocratici, impostati a delimitare le possibilità di intervento di una vasta pluralità di soggetti, attraverso il contenimento dello loro istanze, per creare i presupposti favorevoli allo sviluppo di forze intimamente legate alla speculazione ed alla concentrazione della ricchezza a discapito della redistribuzione del patrimonio, dell’uguaglianza e della coesione sociale. Le ragioni dei successi delle destre in un tale scenario potrebbero sembrare fuori luogo, se non fosse, che i partiti di sinistra e centro sinistra, sono stati, e sono, spesso protagonisti di queste politiche, anche anti democratiche, con la scusa di mantenere un atteggiamento di responsabilità di fronte a crisi, spesso pregresse. Se, da un lato, è vero che gestioni politiche di centro e di centro destra hanno attuato politiche confuse dal lato del lavoro e da quello industriale, è anche vero che i successivi correttivi potevano essere indirizzati ad una maggiore divisione dei costi economici, sociali e politici e non solo essere caricati sul ceto medio, con il risultato di provocarne una retrocessione sociale. La questione dei migranti si innesta bene in questo quadro: ampi strati sociali che si sono visti erodere il loro potere di acquisto e diminuire le loro quote di stato sociale, hanno temuto di perdere ulteriori posizioni e trasferimenti dallo stato a vantaggio dei profughi e grazie a questi convincimenti sono diventati facili prede dei partiti di destra. Il problema coincide con una gestione dei partiti e dei movimenti progressisti sempre più improntata ad una eccessiva predominanza della gerarchia, si sono avviati processi decisionali che partono sempre più dall’alto e dall’alto sono calati verso il basso senza un adeguato coinvolgimento della base, che viene sempre più allontanata e le cui istanze appaiono sempre meno considerate dalle dirigenze in nome di logiche oscure improntate a mantenimento di vincoli di bilancio troppo rigidi ed imposti da soggetti tendenti a violare palesemente la sovranità nazionale. Lo stravolgimento dei rapporti tra i ceti dei movimenti è coinciso con l’adozione della forma liquida di partito, che prevede una organizzazione sempre più leggera, tendente ad escludere le masse dalla discussione. Resta pur vero che questa tendenza è iniziata non in tempi recenti sfruttando la sfiducia di una politica che non riusciva a comprendere le reali esigenze dei cittadini, tuttavia invece di fermare questa direzione, anche le forze che dovevano essere progressiste hanno sfruttato l’occasione per crearsi spazi di manovra più ampi e sempre meno condizionati dalle basi dei militanti. Se poi si sposta lo stesso metro di valutazione all’ambiente pubblico, stato ed enti locali, non si può non evidenziare come sono stati eliminati, analogamente a quanto accaduto nei partiti, spazi di decisione, che hanno prodotto un ulteriore allontanamento dalla politica. I politici di professione gradiscono sempre meno l’intromissione dei cittadini nei processi decisionali e tendono a tenere le distanze con l’elettorato attivo studiando sempre nuove modalità di esercizio del voto che non consentono, nella sede istituzionale prevista, la consultazione elettorale, che scelte quasi pre indirizzate e che non tengono conto del crescente fenomeno dell’astensione. Si arriva così alla coincidenza operativa da parte di partiti politici, prima di destra e poi di sinistra, con leggi elettorali sempre meno inclini a fornire margini di scelta. La percezione del cittadino, riguardo alla sua possibilità decisionale, è molto bassa ed a ciò si deve unire l’insoddisfazione per la peggiorata qualità della vita e la presa di coscienza dell’aumento della diseguaglianza a favore di concentrazioni di ricchezza verso soggetti non chiari. La somma di questi fattori contribuisce all’avversione per l’Europa ed al successo del populismo, che non è mai un segnale confortante. Le soluzioni per uscire da questa situazione sono, prima di tutto l’allentamento dei vincoli di bilancio ed un cambio di rotta nel costruire le regole del funzionamento democratico, che non devono essere costrittive ma devono cercare di allargare al massimo la partecipazione ed il coinvolgimento, tuttavia senza politici che abbraccino queste idee la situazione è destinata a peggiorare.
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