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mercoledì 18 maggio 2016
L'Egitto si offre come mediatore tra Israele e Palestina
La proposta del governo egiziano di diventare un mediatore nel conflitto tra palestinesi ed arabi è giunta inaspettata, ma rientra in una logica che risponde ad un puro calcolo politico, che possa consentire all’Egitto di uscire dall’attenzione mediatica internazionale per le dure repressioni messe in atto dal governo de Il Cairo ed acquistare il prestigio perduto. Per gli USA ogni alleato trovato sulla strada della pacificazione tra israeliani e palestinesi è sempre ben accetto, anche se, nel caso egiziano, si tratta, senza dubbio, di un alleato scomodo, con il quale i contatti non si sono interrotti, ma allentati, proprio per lo scarso rispetto dei diritti umani dimostrato da Al Sisi. Tuttavia è pur vero che Washington, seppure tra mille incertezze, per il momento continua a preferire il regime in vigore all’unica possibile alternativa di un ritorno dei Fratelli musulmani, troppo condizionati dall’elemento islamico radicale. La Casa Bianca ha condannato le repressioni violente di Al Sisi, ma non ha interrotto del tutto i rapporti e non ha condannato in modo sufficientemente grave la continua violazione dei diritti a danno della popolazione egiziana, perchè vede, comunque nel regime egiziano un argine alla possibile avanzata islamista e quindi anche dello Stato islamico, fino alle rive del Mediterraneo meridionale. La mediazione di Al Sisi è anche gradita ad Israele, sia al governo, che all’opposizione, per la posizione che Il Cairo ha mantenuto nel Sinai, ostacolando gli estremisti contro il paese israeliano, inoltre tra i due paesi, dopo la caduta dei Fratelli musulmani i rapporti tra i rispettivi esecutivi sono più che buoni, come lo erano tra Israele e Mubarak, perchè a Tel Aviv hanno individuato il governo in carica tutt’altro che ostile, di impronta laica e poco incline ad una islamizzazione del paese. Tra i due governi sono in corso collaborazioni reciproche, anche se non ufficiali, per garantire la rispettiva sicurezza. Anche per i palestinesi l’Egitto rappresenta un interlocutore affidabile, forse di più per l’Organizzazione della liberazione della Palestina, che governa la Cisgiordania, che per Hamas, che di fatto amministra la striscia di Gaza e ha dovuto patire conseguenze pratiche dall’occupazione militare del Sinai da parte del governo egiziano in carica. L’antefatto alla proposta egiziano sono state le difficoltà per convocare una conferenza internazionale di pace per il Medio Oriente, a cui sono stati invitati paesi arabi ed occidentali; questa conferenza è una iniziativa francese non gradita ad Israele, per cui rischiava di diventare l’ennesimo fallimento diplomatico. L’Egitto, al contrario, si è detto favorevole anche a questa iniziativa, dimostrando una volontà di giocare a tutto campo per promuovere una pace, che dovrebbe avere come risultato ultimo la creazione dello stato palestinese; è chiaro che un risultato del genere, mai raggiunto fino ad ora è, forse, un obiettivo troppo grande, ma il solo tentativo rappresenta per l’Egitto una occasione per distrarre l’opinione pubblica internazionale, troppo concentrata sull’operato repressivo del governo de Il Cairo. Queste valutazioni portano necessariamente ad una domanda che non può non essere posta: le intenzioni di Al Sisi sono sincere? Una risposta negativa non farebbe che presumere l’ennesima perdita di tempo nella questione tra israeliani e palestinesi e quindi un tentativo inutile, tuttavia, anche se è chiaro quali siano le intenzioni egiziane è innegabile che per l’atteggiamento favorevole di Israele, siamo di fronte ad una occasione da non sprecare. Se l’Egitto raggiungesse l’obiettivo a cui non si è mai arrivati, gli andrebbero riconosciuti i propri meriti, ma questo non dovrebbe impedire di continuare a rilevare la situazione interna; certamente Al Sisi godrebbe di un prestigio internazionale aumentato, ma questo dovrà essere limitato o impedito da un ruolo maggiormente attivo degli Stati Uniti e dei paesi occidentali, che dovranno sfruttare la presenza dell’occasione di un mediatore gradito alle due parti per accelerare il processo di pace. Occorre ancora considerare un ulteriore aspetto vantaggioso per l’Egitto, per favorire il processo di pace, oltre a sviare l’attenzione internazionale su quanto succede nel suo territorio: il raggiungimento della pace tra israeliani e palestinesi e la creazione di uno stato autonomo palestinese, potrebbe determinare la fine della situazione instabile nel Sinai egiziano, dove dovrebbe terminare la presenza fondamentalista a favore di Hamas, regolarmente inquadrata in uno stato sovrano, così come dovrebbe finire l’embargo nella striscia di Gaza; questo darebbe una maggiore solidità alla situazione interna anche dell’Egitto. Sfruttare questo aspetto da parte dei governi occidentali appare fondamentale, per poi potere anche incidere sulla questione del rispetto dei diritti e per cercare di riportare nel paese quella democrazia, che sembrava raggiunta con la fine politica di Mubarak.
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