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mercoledì 6 luglio 2016

La trasformazione militare dello Stato islamico

Se dal punto di vista militare classico, cioè il contesto dove si affrontano eserciti in confronti più o meno convenzionali, le forze dello Stato islamico stanno subendo sconfitte sempre più determinanti, la reazione del califfato ha spostato su di un piano maggiormente internazionale un conflitto diventato di tipo asimmetrico. L’impossibilità di mantenere le posizioni sul terreno conquistato e trasformato nella sovranità dello Stato islamico, dovuta ad una serie di ragioni e non tutte di tipo militare, ha determinato un incremento delle azioni terroristiche su scala mondiale, come ritorsione dei successi militari dell’esercito irakeno e dei suoi alleati, gli sciti e le forze occidentali con gli USA in prima fila. Gli obiettivi dello Stato islamico sono così diventati i sunniti di paesi che appoggiavano in maniera implicita il califfato, gli stranieri nei paesi sunniti e gli sciiti in Iraq. Questi fenomeni hanno subito un incremento con l’assedio di Raqqa e sembrano segnare una svolta nella metodologia della lotta contro i propri nemici da parte degli uomini del califfato. Questa trasformazione è dettata da ragioni contingenti, che vedono in primo luogo la perdita della sovranità sul territorio conquistato e la necessità conseguente di elaborare nuove forme di lotta, che possano rientrare nelle disponibilità ridotte di combattimento degli estremisti islamici; in questo senso non si può non notare che lo Stato islamico sta subendo una trasformazione verso una attività terroristica classica, che sembra avvicinarla, sopratutto come modi operativi, ad Al Qaeda. Esiste principalmente un intento punitivo nell’interpretazione degli attentati compiuti ad Istanbul ed in Arabia Saudita; queste due nazioni fornivano un appoggio nascosto allo Stato islamico per i loro fini geopolitici, sia per contrastare l’Iran, che per realizzare le loro mire sulla Siria. Gli esecutivi di questi paesi sunniti sono stati obbligati a cambiare atteggiamento dall’evoluzione del conflitto, che rischiava di portare entro  i loro confini la guerra, sia dalle pressioni americane, chenon potevano più tollerare un atteggiamento troppo ambiguo nel contrasto al califfato. Sopratutto la Turchia, da dove transitava il petrolio venduto dallo Stato islamico e che ne costituiva la maggiore fonte di finanziamento, ha dovuto fare cessare questi traffici e ciò ha determinato una risposta violenta causata da una percezione di tradimento  da parte di Ankara. In questi attentati si è individuato un cambiamento degli autori, che sono passati da essere persone inesperte da sacrificare senza grosse perdite in tema di conoscenze, ad un impiego di attentatori più addestrati militarmente, il cui sacrificio implica una sottrazione alle parti più esperte dei combattenti del califfato. Questo cambio di direzione è stato imposto dalla maggiore attenzione delle forze di polizia a cui si è dovuto rispondere con l’impiego di personale in grado di aggirare i controlli e quindi dotati di un addestramento superiore. Questa considerazione evidenzia come sia diventata prioritario l’uso di combattenti addestrati in attentati suicidi, prelevati dalle zone di battaglia, proprio per gli esiti negativi della guerra per il califfato. Ciò può significare anche che lo Stato islamico inizi a considerare la sconfitta militare come una eventualità con grosse probabilità di accadere. Questo scenario implica, quindi un incremento di modalità asimmetriche di combattimento, tendenti a creare terrore ed alterare gli equilibri nelle nazioni sunnite dove sono presenti interessi occidentali e nelle zone sciite per esasperare il conflitto religioso. Di conseguenza occorre fare delle considerazioni anche sulle modalità di condotta della guerra contro lo Stato islamico nel territorio irakeno, se, come già detto, le vittorie militari sembrano incontestabili, appare altrettanto vero che queste non procedono di pari passo con una adeguata operazione di miglioramento delle condizioni sociali della popolazione che ha subito la sovranità dello Stato islamico e quindi con una migliore percezione del governo irakeno. Si deve ricordare, a questo proposito, che lo stato irakeno è retto dagli sciiti, che sono la minoranza nel paese, e che, per questa ragione, devono conquistare la fiducia delle zone sunnite; sebbene la soluzione migliore sarebbe una divisione del potere centrale, in attesa di questa possibilità, l’esecutivo di Bagdad dovrebbe puntare grandi investimenti sulla ricostruzione, in special modo sulle infrastrutture come ospedali, scuole e vie di comunicazione, in modo da dimostrare in modo tangibile l’attenzione verso la parte sunnita del paese. Senza questa politica il rischio è di vedere vanificato lo sforzo militare perchè non sostenuto da un adeguato coinvolgimento della popolazione e quindi capace di favorire nuovi terreni di coltura per il terrorismo.

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